Ucraina: un Natale sperando nella tregua

Ucraina: un Natale sperando nella tregua

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 24 dicembre 2025

Questo Natale dovrà essere purtroppo ricordato come il quarto Natale della guerra di Ucraina.

L’azione bellica che, nel suo giorno di inizio (24 febbraio 2022), era stata definita dal Cremlino “un’operazione militare speciale,” in modo da essere classificata come un intervento limitato e temporaneo, si è trasformata, anche nella terminologia ufficiale, in una guerra.

Una guerra che si sta avvicinando alla durata della secondo conflitto mondiale.

A questo la dobbiamo purtroppo accostare non solo per la durata, ma per le sue tragiche conseguenze umane.

Anche se le cifre differiscono fra le fonti ufficiali e le analisi degli osservatori, è certo che i morti si contano in centinaia di migliaia e il numero dei feriti supera di molto l’ordine del milione, senza contare le vittime civili che vanno oltre le molte migliaia.

Una tragica contabilità che non tiene conto della distruzione di intere regioni e delle distorsioni dell’economia mondiale.

Questo conflitto ha riprodotto i tradizionali elementi di crudeltà, come gli scontri in trincea e le mine anti-uomo, ma ha visto aggiungere ad essi i nuovi micidiali strumenti bellici che, a partire dai droni, hanno trasformato la guerra in un esercizio sempre più crudele e raffinato.

Il tutto con un fronte di combattimento che, in questo ormai eterno conflitto, si è complessivamente mosso nello spazio di poche miglia.

Ugualmente sconsolante è constatare come altrettanto poco si sia mosso il cammino della ricerca della pace.

L’unico vero e proprio negoziato ha avuto luogo nella primavera del 2022 a Istanbul. Dopo di questo solo molti tentativi di mediazione e un’infinità di incontri. Incontri che, negli ultimi mesi, si sono progressivamente moltiplicati, facendo trasparire la possibilità di futuri accordi che, nella realtà, non si sono mai concretizzati.

Tutto questo perché, nella guerra di Ucraina, all’insanabile odio tra le due parti in diretto conflitto, si è sovrapposta la sfida fra le grandi potenze, a loro volta divise da interessi ora stabili e ora mutevoli.

La Russia ha potuto proseguire la guerra solo con il quotidiano aiuto della Cina che ne ha garantito la sopravvivenza economica con l’acquisto del petrolio e del gas che non potevano essere diretti verso i mercati occidentali per effetto delle sanzioni.

A sua volta l’Ucraina ha resistito alla Russia con l’aiuto dell’Europa e degli Stati Uniti, un aiuto che godeva di un condiviso consenso durante la presidenza di Biden e che ha invece vissuto momenti alterni, e spesso incomprensibili, con l’arrivo di Trump alla Casa Bianca.

L’unione Europea e l’Ucraina si sono infatti, in più riprese, preoccupate che Donald Trump collegasse la fine della guerra ad un suo accordo più o meno diretto con la Russia. Questo sia per le ricorrenti tensioni con il presidente ucraino Zelensky, sia per la ripetuta decisione di riversare sull’Europa gli oneri finanziari del conflitto. A questi elementi di tensione si è accompagnato un regolare corteggiamento americano nei confronti dei paesi europei vicini alle posizioni russe, a cominciare dall’Ungheria.

Questo complicato stato di cose ha dato vita ad una serie di proposte e di incontri senza esito.

Non si è trovato infatti accordo sui più importanti punti controversi, che vertono soprattutto nella demarcazione dei confini fra i due paesi in guerra e nella definizione delle alleanze e delle garanzie politiche successive al conflitto. Le condizioni e le controindicazioni si sono quindi susseguite all’infinito senza alcun accordo.

In questo terribile gioco allo sfinimento, è costantemente emersa la divisione in Europa non solo nei confronti della scelta di campo fra i contendenti, ma anche all’interno dei paesi che, in grandissima maggioranza, sostengono la causa ucraina.

Negli ultimi giorni essi hanno finalmente trovato un accordo secondo il quale, prendendo atto dalla volontà americana di ritenere il peso economico della guerra un’esclusiva responsabilità europea, viene garantito all’Ucraina un prestito senza interessi di 90 miliardi di Euro, in modo da fare fronte alle spese della guerra per il prossimo biennio. Una decisione innovativa non solo perché si tratta di un debito comune che la Germania ha sempre avversato, ma anche perché la decisione è stata presa non all’unanimità, ma con il voto favorevole di 24 paesi su 27. Così è stata superata, almeno in questo caso così straordinario, la regola dell’unanimità che, salvo le occasioni particolari causate dalla pandemia, aveva sempre paralizzato ogni decisione dell’Unione Europea.

Questa regola aveva reso sostanzialmente impossibile all’Europa di mettere in atto quell’attività di mediazione e di costruzione della pace che sarebbe stato suo dovere esercitare fin dall’inizio.

La decisione europea non costituisce un passo definitivo verso la fine del conflitto, come dimostrano gli incontri senza esito tenuti successivamente a Miami nei colloqui fra Ucraina e Russia con mediazione americana. Nemmeno si può attendere un passo decisivo nel possibile contatto fra Putin e Macron, anche perché il presidente francese, in precedenza descritto dall’establishment russo come una macchietta imitatrice di Napoleone, non può certo da solo rappresentare l’Europa.

La decisione sul prestito all’Ucraina, che ovviamente nessuno restituirà, offre però il vantaggio di aiutare a definire gli equilibri sul campo e di rendere quindi più evidenti i rischi, i danni e le tragedie di un ulteriore prolungamento del conflitto. Ed è fondandosi su questi nuovi equilibri che si può razionalmente pensare alla possibilità e alla convenienza di una tregua che, come è avvenuto nel caso della guerra di Corea, potrebbe congelare il conflitto e mantenerlo congelato per un tempo sostanzialmente infinito. Si tratta non solo di un augurio, ma di una ragionevole speranza da coltivare durante questo quarto Natale di guerra.

 

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Dati dell'intervento

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dicembre 24, 2025
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