I valori identitari che guidano gli elettori. Serve un nuovo progetto riformista
I valori identitari che guidano gli elettori
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 28 giugno 2025
Alla fine dello scorso anno sono stato in Polonia per ricordare il ventesimo anniversario del suo ingresso nell’Unione Europea. Ho trovato un paese incredibilmente migliorato sotto ogni aspetto: dall’economia ai livelli salariali, dalla protezione sociale alla trasformazione delle campagne, da un paese di emigrazione a un paese di immigrazione. Un vero successo per la Polonia e per l’Unione Europea. Tuttavia il popolo polacco, solo pochi mesi dopo, ha scelto un presidente della Repubblica duramente antieuropeo e tenacemente legato al passato. Nello stesso tempo i partiti euroscettici hanno ovunque aumentato la loro presenza, con particolare rilevanza nei paesi europei che più hanno tratto giovamento dal loro ingresso nell’Unione.
Gli elettori di oltre atlantico, pur in un contesto diverso, si sono espressi in modo del tutto simile: dopo un quadriennio di grande progresso dell’economia americana il partito del presidente in carica è stato sconfitto con un inimmaginabile margine di voti.
Stiamo assistendo ad una vera e propria rivoluzione della democrazia: gli elettori (come hanno giustamente messo in rilievo in un’acuta analisi Nicola Gennaioli e Guido Tabellini) sono sempre meno guidati dall’interesse materiale e sempre più dalla loro identità, cioè dai valori radicati nella loro memoria e nella società in cui vivono. Impauriti per i vorticosi cambiamenti della società cercano la sicurezza nella difesa dei valori tradizionali, siano essi di carattere religioso, di spinta nazionalistica o di appartenenza ad una comunità con una forte tradizione locale.
Make America Great Again, il patriottismo polacco (religioso, antirusso e antieuropeo) le nuove destre francesi, italiane e tedesche, pur nella diversità della loro storia e delle loro caratteristiche, conquistano crescenti adesioni utilizzando in modo sostanzialmente identico i valori tradizionali come strumento di protezione dei cittadini di fronte ai cambiamenti che li angosciano per la loro rapidità.
Dio, Patria e Famiglia diventano un formidabile strumento di attrazione e di aggregazione anche se pronunciati da coloro che, nelle loro convinzioni e nei loro personali comportamenti, ne sono lontanissimi. Si tratta appunto di un messaggio identitario che non ha bisogno di proporre, come avveniva in passato, scelte concrete, ma di semplice appartenenza.
Non è un caso che l’unica proposta operativa comune a tutti i politici che si fondano sull’identità sia l’opposizione all’immigrazione, anche nei casi in cui essa è del tutto necessaria per venire incontro alle esigenze fondamentali della comunità. L’immigrazione, per definizione, ci pone infatti di fronte al diverso e il diverso è l’opposto dell’identità. Non vi è quindi nessun bisogno di spiegare che chi picchia in testa agli immigrati vince le elezioni.
Certo non ho mai amato una politica che si fonda sul primato dell’interesse personale, ma essa permette almeno il confronto e spinge verso l’accordo. Al contrario, la politica fondata sull’identità non accetta programmi o accordi e nemmeno compromessi: noi contro loro. L’identità non viene a patti. Quasi un ritorno alle guerre di religione che per tanti secoli hanno diviso l’Europa e alle quali ha posto fine solo il progresso della coscienza democratica, ora sempre più a rischio, da una parte e dall’altra dell’Atlantico.
E’ bene però ricordare che i sistemi democratici entrano in crisi anche perché erosi al loro interno. Coloro che si presentano come alfieri di una democrazia progressista e multiculturale, e che si pongono il dovere primario di fare progredire la comunità verso il futuro, di errori ne stanno compiendo tanti da essere sempre più confinati nel ruolo di una minoranza senza futuro. Una parte di loro cerca infatti di inserirsi nella corrente dominante, come sul tema della migrazione, presentandosi come più tradizionalista dei tradizionalisti finendo col confermare la ben nota tesi che l’originale vale sempre più della copia. Non minore è la responsabilità di coloro che propongono un’identità del tutto opposta, che consiste in un cambiamento della società così avanzato da essere per sua natura escludente. Non parlo della necessaria e doverosa difesa dei diritti di uguaglianza fra i cittadini, ma del sostegno a una proposta alternativa tipica di un’ élite che, per sua natura, si distacca dal resto della società anche se, in teoria, pretende di rappresentarla.
Trump ha vinto le elezioni proprio con un doppio messaggio: da un lato esaltando l’identità positiva riassunta nell’acronimo MAGA e, dall’altro, stigmatizzando l’identità negativa dei WOKE, cioè di coloro che si sentono padroni di valori altrettanto esclusivi che però suscitano paura e diffidenza nella maggioranza del popolo americano. In Europa (e segnatamente in Italia) stiamo commettendo lo stesso tragico errore di costruire una società frammentata in identità separate. Proprio l’opposto del cammino della democrazia che si costruisce non sull’esaltazione del diverso, ma sulla sua composizione in un progetto che costruisce il nuovo tenendo presente l’eredità del passato. Un tempo lo chiamavamo riformismo, ma oggi il vocabolo stesso è diventato desueto. Mi sembra l’ora di ripristinarlo, naturalmente rinnovandolo, così da tenere conto del futuro e del passato. In modo da lenire la paura di perdere il passato ma, nello stesso tempo, alimentando una concreta speranza per il futuro.