Se la Cina è capace di attirare talenti

Se la Cina è capace di attirare talenti

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 18 ottobre 2025

Nel corso della prossima settimana, tra il 20 e il 23 di ottobre, i 370 componenti del vertice del Partito Comunista Cinese si riuniranno per iniziare la preparazione del nuovo piano che dovrà guidare il paese per i prossimi cinque anni. Un piano che, per avere successo, dovrà segnare un cambiamento radicale della politica cinese. La Cina è già la seconda economia del mondo e, ragionando non in termini  di Prodotto Interno Lordo (PNL), ma di Parità di Potere  d’Acquisto, ha già da alcuni anni il primato.

Ha raggiunto il primo posto nell’export mondiale e da sola supera il 30% dell’intera produzione industriale del pianeta, contribuendo per un’uguale percentuale alla crescita mondiale.

Il  mondo  sta però velocemente cambiando e, con esso, deve cambiare anche la Cina.

Nuovi protagonisti stanno crescendo in tutti i continenti e gli Stati Uniti pongono barriere sempre più elevate alle esportazioni cinesi. Il grande paese asiatico, pur conservando uno straordinario dinamismo, non è più in grado di crescere ad una percentuale a due cifre, anche se sta riuscendo a mantenere uno sviluppo non lontano dal 5%.

Nella classe dirigente cinese è tuttavia sempre più forte la  consapevolezza che nemmeno questo tasso di crescita potrà essere mantenuto senza i radicali cambiamenti sui quali si dovranno pronunciare i 370 rappresentanti del vertice del partito.

Il primo doveroso cambiamento è nell’aumento dei consumi interni, ora poco superiori al 50% del PIL mentre, nel resto del mondo, raggiungono quasi i tre quarti del suo ammontare.  Sforzi in questa direzione si stanno già compiendo: dai sussidi alla prima infanzia agli incentivi all’acquisto di abitazioni e di elettrodomestici, uniti a diverse facilitazioni di carattere creditizio.

Nessuna misura può essere tuttavia efficace se non si cambiano i comportamenti fondamentali della società cinese che, pur con i progressi compiuti in tanti settori, non prevede ancora una struttura di welfare capace di proteggere i cittadini nel momento del bisogno. Con un sistema pensionistico appena agli albori e un sistema sanitario ben lontano dall’essere universale, è difficile spiegare ai cittadini che debbono risparmiare meno e spendere di più.

L’espansione del welfare trova inoltre un limite difficilmente sormontabile in una società in cui è strutturalmente difficile imporre nuove tasse, mentre le finanze pubbliche, soprattutto quelle regionali, sono indebitate a livelli ormai non superabili.

A queste motivazioni di carattere economico si aggiunge il fatto che nella società cinese, dai vertici politici fino alle profonde tradizioni familiari, si ritiene che un eccessivo aiuto pubblico possa ledere il primato del lavoro nel singolo cittadino e nell’intera società.

Il secondo grande obiettivo del prossimo summit dovrà essere dedicato ad elevare ancora il livello della tecnologia e della produttività.

Non è certo un obiettivo nuovo se si narra che il Presidente Clinton, di fronte al primato dell’ingegneria vantato dai dirigenti cinesi, abbia scherzosamente proposto al suo omologo di esportare un milione di avvocati dagli Stati Uniti alla Cina in cambio dell’emigrazione di un milione di ingegneri in direzione opposta.

L’obiettivo cinese di indirizzare un maggior numero di risorse umane verso le scienze applicate è ora esplicito e totalmente condiviso. La Cina, dopo avere imitato e copiato le innovazioni dei paesi più avanzati, come peraltro hanno sempre fatto i nuovi arrivati, è ora in piena corsa per arrivare al primato mondiale nella tecnologia e nella produttività.

Un primato già raggiunto nella raffinazione delle terre rare, nell’automobile, nell’eolico e nel solare, con l’esplicito obiettivo di allagarsi verso i settori che condizioneranno lo sviluppo futuro, a partire da semiconduttori fino all’intelligenza artificiale. Ingegneri e tecnici si indirizzeranno meno verso l’edilizia o i lavori pubblici e si orienteranno verso la ricerca e i servizi avanzati che condizionano il nuovo sviluppo industriale. Anche se con alti e bassi, con nuovi indirizzi e nuove vocazioni, la Cina, come scrive in un recentissimo libro un autore Cino-americano (Dan Wang, “Breakneck”), rimane infatti un paese di tecnici. Non solo escono ogni anno dalle università cinque milioni di laureati nelle discipline scientifiche e tecniche (STEM), ma la percentuale maggiore dei leader politici che nella prossima settimana dovranno dettare gli indirizzi del nuovo piano quinquennale è costituita da laureati in queste discipline.

Nonostante quest’ambiente così favorevole alla loro presenza e al loro ruolo, la dirigenza cinese ritiene che i tecnici che oggi escono dalle università non siano sufficienti per coprire tutto lo spettro delle specializzazioni necessarie per raggiungere il futuro primato.

Tanto è vero che sono state perfino introdotte corpose facilitazioni (il cosìddetto visto K) per attrarre nuovi esperti dall’estero. Si tratta di incentivi così sostanziosi da creare un visibile malumore tra i  giovani laureati cinesi in cerca di occupazione. E’ quindi in corso una marcia in direzione del tutto opposta rispetto alla decisione di Trump di imporre una tassa di 100mila dollari per gli specialisti stranieri che intendono trasferirsi negli Stati Uniti (il così detto visto H-1B).

Non sembra essere questa un’idea geniale, dato l’impressionante impulso che i tecnici e gli scienziati stranieri hanno dato alla straordinaria ascesa degli Stati Uniti durante tutte le passate generazioni.

Non penso infatti che Trump possa rendere l’America “Ancora Grande” senza il contributo del resto del mondo. Lo stesso contributo di cui, rompendo le sue tradizionali chiusure, la Cina sente ora la necessità. Proprio per essere in grado di contendere il primato agli Stati Uniti.

 

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Dati dell'intervento

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Categoria
ottobre 18, 2025
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