Riportiamo in Patria le nostre riserve auree

Le riserve auree e il deposito in Patria

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 30 ottobre 2025

Circa quarant’anni fa, nel corso di una conferenza internazionale sull’oro, mi permisi di esprimere alcune riserve sull’eccessivo ruolo del metallo giallo nell’economia mondiale, soprattutto dopo che Nixon aveva soppresso la garanzia della sua convertibilità ufficiale fino ad allora fissata a 35$ l’oncia. Con eccessivo buon senso e con altrettanta ingenuità, ricordavo allora che il suo ruolo era forzatamente limitato dell’impossibilità di produrre profitto e dal non essere uno strumento valido per lo sviluppo dell’economia. Naturalmente è passato tanto tempo che non ricordo più quali argomenti io abbia aggiunto per metterne in dubbio l’importanza.

Ho però ben in mente che, al termine del mio discorso, un gentile anziano signore mi avvicinò e, con un sorriso, mi disse che, dalle mie parole, si capiva che la guerra non mi aveva mai costretto a scappare in Svizzera con dieci monete d’oro nelle scarpe. A parte la difficoltà di comprendere come quel distinto signore abbia potuto varcare la frontiera con dieci monete nelle scarpe, ho da allora sempre legato il ruolo dell’oro ai drammi, ai rischi e ai pericoli della politica e dell’economia. Credo che anche i vorticosi aumenti degli ultimi mesi confermino le tesi del mio interlocutore di allora.

L’oro non è utile, ma è uno strumento che cresce di importanza con l’aumentare del pericolo e dell’incertezza. Si tratta di “merci” che, in questi ultimi anni, abbiamo avuto non solo in abbondanza, ma in eccesso.

Il vorticoso aumento del prezzo dell’oro è infatti iniziato nel settembre del 2022 quando sono cominciate le tensioni monetarie conseguenti allo scoppio della guerra in Ucraina. Le banche centrali sono state le più grandi acquirenti del metallo prezioso, con la conseguenza di aumentare sensibilmente il ruolo dell’oro nelle proprie riserve. Aumento che, negli ultimi mesi, si è fatto vorticoso fino a spingere il prezzo del metallo prezioso a 4.400 dollari per oncia. Il che, in termini concreti, si è tradotto  nel fatto che con con 31,1035 grammi di oro si potevano comprare 60 barili di petrolio.

Nell’analisi di tutti gli esperti l’aumento della domanda del metallo prezioso è strettamente legata alla crescita del debito pubblico di tanti paesi, a cominciare dagli Stati Uniti. A questo si aggiungono i pericoli di inflazione e, soprattutto, le tensioni fra Stati Uniti e Cina, rese più difficili da interpretare in conseguenza dell’incertezza e della volubilità della politica americana.

Quest’ultimo elemento è diventato talmente dominante che alcuni osservatori hanno maliziosamente scritto che l’oro è divenuto un vero e proprio ombrello per proteggerci nei confronti della politica di Trump.

Non mi sembra perciò casuale che il primo cedimento di questo lungo processo di aumento del prezzo dell’oro abbia coinciso con l’annuncio del tanto atteso colloquio che ha luogo proprio oggi fra Trump e Xi Jinping.

Non è certo inconsueto il fatto che, nei mercati, i lunghi processi di aumento siano seguiti da cadute improvvise, ma la caduta del 21 ottobre scorso ha segnato la flessione giornaliera più forte degli ultimi 12 anni.

Tuttavia i segni di incertezza sul futuro dell’oro permangono e le istituzioni finanziarie internazionali si dividono in schieramenti opposti. Da una parte un gruppo  autorevole di banche internazionali, comprendente la Bank of America, HSBC e Société General, pongono come obiettivo il prezzo di 5000$ per oncia.

Questo fondandosi sulla convinzione che la domanda continuerà ad aumentare perché, qualsiasi siano le future evoluzioni, il dominio del dollaro non potrà che essere incerto. Specialmente se non sarà definitivamente cancellata ogni ipotesi di inflazione e non cesserà l’attacco presidenziale nei confronti della Banca Federale. Questo indipendentemente da un possibile miglioramento dei rapporti fra Cina e Stati Uniti e, più in generale, da un assestamento del quadro politico internazionale. Altri istituti, più ottimisti sul futuro dell’inflazione e sulla  saggezza della politica americana, pensano invece che la flessione degli ultimi giorni sarà seguita da un ulteriore calo.

Di fatto una recente analisi dell’Official Monetary and Financial Institutions Forum rende noto che, tra le 75 banche centrali consultate, almeno un terzo continuerà a comperare oro per il prossimo futuro.

Limitandoci alla situazione di casa nostra è interessante notare come le banche centrali europee detengono oltre 10.770 tonnellate d’oro, rispetto alle 8150 possedute dalla FED americana.

E che Germania, Italia e Francia, sommate insieme, ne posseggono più degli Stati Uniti. Con una differenza particolare, ancora eredità del passato, per cui il 40% delle 3550 tonnellate d’oro di proprietà dalla Germania e l’identica quota delle 2450 tonnellate di proprietà italiana giacciono nei depositi americani, mentre le 2437 della Francia sono tutte custodite entro le mura domestiche.

Non che il nostro oro blindato a Fort Knox debba essere considerato insicuro ma, visto che il suo ruolo è diventato così importante nel presente e così prezioso per il futuro, non sarebbe almeno simbolicamente importante riportarlo in patria, considerando come patria anche l’intera Europa?

 

 

 

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Dati dell'intervento

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Categoria
ottobre 30, 2025
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