Francia: la mossa di Macron ai titoli di coda
La mossa di Macron ai titoli di coda
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 12 ottobre 2025
Un’efficace e condivisa composizione della crisi francese diventa ogni giorno più difficile. Al punto da sembrare quasi impossibile. Il sistema imperniato sul potere presidenziale, che ha garantito una lunga e invidiata stabilità alla Francia per oltre mezzo secolo, è stato progressivamente indebolito dalla crescente frammentazione dell’elettorato e dall’aumentata presenza di un’estrema destra e un’estrema sinistra ugualmente intransigenti e abbastanza forti da rendere sempre più difficile il compromesso.
La possibile ricomposizione è ancora più complicata in conseguenza dei risultati dei sondaggi di opinione, secondo i quali l’estrema destra di Le Pen (Rassemblement National RN) non è lontana da un terzo degli elettori e l’alleanza di sinistra vicina ad un quarto.
A questo si aggiunge il crollo della popolarità del Presidente Macron, giunto ormai ai minimi di tutto il suo periodo presidenziale. Un combinato disposto che, come spesso succede in politica, spinge alla diserzione anche i più fedeli alleati.
Nell’ultima settimana Édouard Philippe, sostanziale creatura di Macron e suo fedele ex Primo Ministro, ha pubblicamente chiesto le dimissioni anticipate del Presidente da mettere in atto appena approvato il bilancio dello Stato.
A questo punto, per non essere da meno, anche Gabriel Attal, pure lui ex Primo Ministro ed anch’egli creatura di Macron, si è pubblicamente distaccato dalla sua politica, pur non avendone chiesto le dimissioni. Questo sfaldamento del partito del Presidente ha naturalmente aggiunto forza ai raggruppamenti estremisti, che da gran tempo e a gran voce ne richiedevano le dimissioni.
Macron però non ha mai preso in considerazione di dimettersi, non solo perché non è nel suo carattere, ma soprattutto per un concetto sostanzialmente sacrale del ruolo che ricopre.
Al che si aggiunge il fatto che non esiste alcuna chiara prospettiva di cosa potrebbe accadere in caso di dimissioni, anche se, almeno fino ad oggi, a raccoglierne i maggiori frutti sarebbe certamente l’estrema destra.
L’ulteriore complicazione sta nel fatto che i seguaci di Macron non concordano sulla stessa idea di futuro, ma sono divisi fra chi guarda a destra e chi a sinistra.
In questo complicato ginepraio non sono naturalmente mancate le proposte per correggere i punti programmatici che avevano reso più difficili gli accordi fra i partiti. L’ex Ministro dell’Istruzione Elisabeth Borne ha quindi ipotizzato, come via d’uscita, l’eliminazione della proposta di innalzamento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni, cercando di eliminare l’ostacolo che aveva trovato la maggiore opposizione in tutta la Francia e insanabili divisioni nell’ambito dell’Assemblea Nazionale.
Una proposta che, tuttavia, cancella in modo radicale il principale obiettivo che Macron si proponeva per mettere sotto controllo un deficit pubblico che non solo ha raggiunto una cifra record per la Francia, ma presenta prospettive allarmanti per il futuro, se non verranno prese drastiche decisioni in direzione di un riequilibrio dei conti pubblici.
I francesi tuttavia non si sono fino ad ora dimostrati disponibili ad accettare i sacrifici imposti dal pur condiviso obiettivo di contenere il deficit. Non si tratta di un fatto straordinario perché questo è un atteggiamento presente in ogni paese, ma esso si traduce in un risentimento particolare nei confronti di Macron, accusato di essere il principale artefice dell’aumento del deficit per i troppo generosi sussidi decisi in conseguenza del Covid e la diminuzione di imposte dettata più da motivazioni politiche che da ragioni economiche.
Il risultato è che la maggioranza dei cittadini francesi si mostra unicamente disposta ad accettare un’imposta straordinaria del 2% a carico di un piccolo numero di ultraricchi (le 2800 persone che posseggono oltre 100 milioni di Euro).
Si tratta di una proposta di alto significato simbolico, ma in grado di fornire solo un modesto contributo al necessario riequilibrio del bilancio pubblico.
Quindi del tutto insufficiente per evitare l’aumento dello spread, che è oggi un vero e proprio incubo.
Non dobbiamo quindi stupirci che, di fronte a questi nodi sostanzialmente insolubili, da lui stesso resi ancora più insolubili, Macron abbia deciso di non decidere, affidando di nuovo l’incarico a chi era fallito in precedenza. Il compito di Sébastien Lecornu si presenta quindi estremamente complesso.
Non solo le ali estreme hanno ribadito la loro ostilità ad ogni compromesso, ma anche i fedelissimi del presidente e i partiti che lo dovrebbero appoggiare sono usciti a testa bassa dalla riunione finale con Macron.
Le drammatiche conseguenze della possibile mancata approvazione del bilancio e la legittima attesa di numerosi parlamentari di finire il mandato, potranno forse dare un temporaneo respiro al nuovo tentativo di governo di Lecornu, ma la decisione di Macron di ricorrere di nuovo al suo fedelissimo è l’inequivocabile segnale che la sua parabola è ormai alla fine.
Come scrive Le Monde, il Presidente sta precipitando in una “impopolarità abissale“, dalla quale sarà molto difficile sollevarsi.