Un governo tecnico per salvare la Francia

Un governo tecnico per salvare Parigi

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 10 settembre 2025

Tutti noi siamo giustamente preoccupati per la crisi francese. Non solo per l’importanza che il paese ha per tutta l’Europa, e per l’Italia in particolare, ma anche perché si inserisce in una contemporanea crisi di tanti altri sistemi democratici. Si tratta certamente di un caso, tuttavia significativo, che nello stesso giorno, sia costretto alle dimissioni anche il Primo Ministro giapponese e che i governi di Germania, Gran Bretagna e Spagna si trovino di fronte a un indice di popolarità che è calato a livelli senza precedenti.

Sta crescendo la sensazione che il progresso sociale e la crescita culturale ed economica rendano più difficile la vita democratica, certamente più difficile da gestire in presenza della maggiore sofisticazione dei cittadini, unita alla moltiplicazione dei partiti e al loro progressivo indebolimento, anche per il ruolo giocato dai nuovi media.

In Francia questo processo è stato reso più rapido, e quindi meno gestibile, da parte di un paese che ha pensato di conservare il suo passato ruolo di protagonista della politica mondiale in un mondo che è invece radicalmente cambiato. Da un lato ha progressivamente perduto il suo antico peso nella politica estera, a partire dal continente africano e, dall’altro, la Francia ha dovuto affrontare la sfida di un vorticoso aumento del debito pubblico, nonostante un’imposizione fiscale che si colloca tra le più elevate fra tutti i paesi democratici.

Basti pensare al rapporto fra debito e PIL che, nel 2000, era intorno al 60% ed è arrivato oggi oltre il 114%. Un rapporto che cresce ad un ritmo, se non frenato in tempo, che raggiungerà presto il livello italiano, anche se la Francia rimane un paese con robuste risorse finanziarie e grandi imprese nell’industria, nei servizi, nelle banche e nelle assicurazioni.

Il paese è però appesantito da un aumento delle disparità che produce disagio sociale, ha radicalizzato le posizioni dei partiti e ha reso più difficile ogni compromesso.

Da un lato abbiamo le dure opposizioni alla proposta dell’economista Zucman di colpire con un’imposta del 2% i 2800 francesi che posseggono un patrimonio superiore ai cento milioni di Euro, e che per sfuggire a questa imposta se ne vanno all’estero, Italia compresa.

Dall’altro le rivolte popolari contro l’innalzamento dell’età pensionabile a 64 anni e all’abolizione di due giornate festive, da trasformare in giornate lavorative nel calendario annuale.

Di fronte a queste difficoltà oggettive sono stati commessi errori politici quasi incomprensibili. Un anno fa Macron ha sciolto l’Assemblea Nazionale per avere un Parlamento più governabile, ma si è prodotto l’effetto opposto. Ancora peggior risultato ha ottenuto Bayrou proponendo il programma di riportare i conti in ordine con una politica di austerità che ha scontentato non solo la destra e la sinistra, ma anche una pur piccola parte del centro di cui Bayrou era simbolo, avendone fatto parte quasi fin dall’infanzia.

I 364 voti di sfiducia di fronte a soli 194 favorevoli dimostrano come siano grandi le difficoltà che si presentano quando un paese democratico si trova nella necessità di risanare i conti pubblici, mantenendo l’equilibrio dei sacrifici necessari per raggiungere questo traguardo.

Ancora più difficile è il compito che attende Macron nei prossimi giorni. Da un lato non è nemmeno pensabile a sue anticipate dimissioni diciotto mesi prima della fine del suo mandato e nemmeno è pensabile, tenuto conto che i sondaggi attribuiscono all’estrema destra di Le Pen oltre il 35% dei voti e il restante frammentato fra i diversi centri e le diverse sinistre, che venga di nuovo sciolta l’Assemblea Nazionale. In questa situazione il Rassemblement National di Le Pen vorrebbe ovviamente andare al voto e, per lo stesso motivo, gli altri non lo vogliono.

Resta tuttavia il fatto che le sinistre e i centristi sembrano avere fra di loro più motivi di divergenza che di convergenza.

Macron aveva quindi di fronte a sé la sola via di affidare l’incarico a un suo fedele in possesso della capacità di dialogo e di mediazione mancata a Bayrou, così come ha fatto nominando Sebastien Lecornu proprio nel momento in cui, all’ultimo minuto, consegno questo articolo. Il suo quasi impossibile compito è reso possibile solo dal fatto che la ricerca di un compromesso è condizione necessaria per la sopravvivenza della legislatura. Con tutte le differenze esistenti fra Francia e Italia, si tratta in fondo della prospettiva di un governo tecnico di italica invenzione.

In tal modo si completerebbe il ciclo delle non tranquillizzanti innovazioni politiche alle quali il nostro pur modesto paese ha dato vita nell’ultimo secolo. Mussolini è stato infatti il maestro di Hitler, Berlusconi ha in fondo svolto lo stesso compito maieutico nei confronti di Trump e i 5Stelle hanno inventato i movimenti populisti che tanto hanno contribuito alla frammentazione della politica europea.

La formazione di un governo tecnico che porti a termine la legislatura è quindi il compromesso necessario per evitare giudizi impietosi come quello dello Spiegel, settimanale così influente nell’opinione pubblica tedesca, che definisce la Francia “un grande paese solo nelle parole del Presidente”, sottintendendo l’esistenza di uno squilibrio fra Francia e Germania che non giova a nessuno. E che, soprattutto, non giova al futuro dell’Europa.

 

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Dati dell'intervento

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Categoria
settembre 10, 2025
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