Il Piano Strategico: “Un senso al futuro. Spunti di riflessione per la Bologna del 2021”

“Un senso al futuro”
Spunti di riflessione per la città del 2021

Il testo qui pubblicato è la trascrizione fedele dell’intervento pronunciato dal Presidente Prodi il 29 marzo 2012 in occasione dell’avvio dei lavori del Piano strategico metropolitano di Bologna. Il testo è stato rivisto dall’autore.

Relazione introduttiva di Romano Prodi al Primo forum metropolitano di Bologna.

Saluto tutte le autorità e tutti gli amici, che sono qui per questa giornata di riflessione in piena libertà. Questa non è una giornata di decisioni ma di riflessione, nella quale è necessario innanzitutto evitare equivoci reciproci. Quando si riflette, si hanno meno limiti rispetto a quando si devono assumere decisioni.
Ringrazio di cuore il Sindaco, il Presidente della Provincia e chi ha pensato che io possa dire qualcosa di utile e di saggio. Non so se ci riuscirò. Di certo ritengo  questo invito almeno un gentile omaggio alla terza età.

Ho ritenuto mio dovere civico e istituzionale rendermi disponibile per aiutare a fare insieme un’istruttoria. Mi limiterò a riflettere su obiettivi e metodi di lavoro, senza ovviamente entrare nelle decisioni specifiche. In questa fase iniziale  gli obiettivi e i metodi di lavoro sono di estrema importanza. Come sono importanti anche i limiti della nostra azione, che  dobbiamo mettere subito sul tavolo, per non creare attese che poi non si riesce a mantenere. Le decisioni che verranno eventualmente  prese non fanno capo alla mia responsabilità. Io cercherò di rispondere al compito che mi è stato dato, cioè quello di offrire  uno stimolo intellettuale.

 

“Un senso al futuro” Relazione introduttiva al Forum Metropolitano – Bologna – 29 marzo 2012 from Romano Prodi on Vimeo.

1. Alcune note metodologiche

Non ho volutamente letto tante proposte di associazioni ed imprese che vanno accumulandosi. Penso infatti che prima di tutto sia necessario capire dove dobbiamo andare e misurare le nostre forze per arrivarci. Un’ultima premessa metodologica: non sono qui per bacchettare nessuno, nè Provincia, nè Comune, nè Camera di Commercio, e nemmeno per cercare, come ha scritto qualcuno, di tenere insieme forze o istituzioni tra di loro divise.
Non unisco e non bacchetto. Rispondo solo all’impegno che mi è stato chiesto: aiutare a riflettere prima di avviare un processo decisionale.
Innanzitutto cerchiamo di capire dove vogliamo andare e chiediamoci come possiamo collocarci nei confronti del resto del mondo.
Prendo ovviamente come un dato la scelta della dimensione territoriale che è quella della Provincia. Credo che sia stata una scelta saggia, perchè se si fosse dovuto scegliere una dimensione territoriale diversa, chissà quanto tempo sarebbe passato. Anche se forse non è la dimensione più adatta per un piano territoriale perchè è evidente che il rapporto di Bologna con Monghidoro non è certamente inferiore a quello  con Firenze; tuttavia se noi cominciassimo a discutere questi aspetti, non la finiremmo più. Abbiamo invece bisogno di essere operativi subito, perchè il mondo va avanti per suo conto e lo fa molto in fretta.
Lo strumento “piano strategico” è sempre più comune e diffuso in tutto il mondo. Il cambiamento d’altronde è così rapido che non tutti i territori hanno gli strumenti ordinari per coordinare le proprie forze in modo da reagire in fretta di fronte ai cambiamenti. Lo hanno fatto Barcellona, Londra, New York, Lione, Monaco di Baviera, Torino, Vancouver, Trento, Siviglia e poi possiamo continuare con l’elenco di centinaia di altre città.
Molti di questi piani (e questa è la prima riflessione) sono stati fatti in occasione di  grandi eventi: le Olimpiadi, l’Expo ed altro ancora, approfittando dei soldi che arrivano per queste occasioni. Questi piani nascono ovviamente con una particolare impronta.
La seconda riflessione è che tutti i piani che hanno avuto successo sono stati caratterizzati da decisioni scelte molto limitate e selettive, anche se, nella parte analitica, contengono l’elenco telefonico. Una cosa è infatti elencare i problemi (l’elenco può essere lungo) e altra cosa è fare  scelte, che debbono essere poche. I piani che hanno avuto successo hanno inoltre un’altra caratteristica (e questo per noi è un problema) cioè l’esistenza di una forte autorità di piano e di mezzi finanziari per mettere in atto le decisioni. Alla debolezza istituzionale che deriva dalla mancanza di una autorità di piano fornita di un potere forte e superiore, dobbiamo supplire con un forte coordinamento nel momento dell’azione. Il grande limite è che le risorse sono poche. Questo vale per il Piano territoriale di Bologna, come per tutti i piani territoriali italiani. Solo per Trento è stato più facile, perchè è l’unico caso in cui a Provincia, che ha grande abbondanza di risorse, può decidere e ha l’autorità di piano. A Trento si può fare presto, ma noi non siamo Trento, non abbiamo i soldi di Trento, e non c’è l’assetto istituzionale della Provincia autonoma, con le sue speciali  prerogative.
Il nostro piano deve essere flessibile e fondarsi su una forte coesione perchè le decisioni possano essere prese in un assetto istituzionale che è molto più debole di quello trentino.
Quindi, si chiede agli amministratori, ai politici e ai funzionari di affrontare questo compito e di lavorare in modo coordinato per permettere di prendere decisioni nei tempi dovuti. Dobbiamo supplire con un accordo a rete ai limiti istituzionali che abbiamo per la mancanza di una autorità specificamente dotata di dare l’attuazione del piano.
I metodi di lavoro dei vari piani esaminati sono diversissimi fra di loro; alcuni, come quello di Londra, sono frutto del lavoro di un gruppo illuminato di saggi che ha preso decisioni, ha fatto un bel rapporto, ha detto “questo è il rapporto” e poi le autorità lo hanno adottato. Quindi, un metodo che implica decisioni dall’alto.
In altri casi, come a Trento, si è partiti dall’alto, si è poi costruito un ampio confronto con le diverse rappresentanze e, poi, sempre dall’alto, si è  potuto decidere. Altri hanno consultato i più diversi centri decisionali e ascoltato anche e soprattutto la voce dei cittadini. Barcellona ad esempio ha ampiamente e in più occasioni  coinvolto la cittadinanza, perchè il piano ha avuto successivi aggiornamenti. Altrove, come a New York, si è  partiti dall’alto e poi nella ripetizione sono stati costretti o hanno scelto di avere anche partecipazione dal basso. In ogni caso, in tutti questi piani c’è, però, una grande cooperazione tra i comandanti e le truppe, anche se il processo di partecipazione è assolutamente diverso.
Io ritengo che Bologna, sia per la sua storia che per quello che si evince dalla lettura di alcuni documenti preparatori, abbia fatto la sua scelta. Anche da quello che abbiamo sentito stamattina emerge che la scelta è quella dell’ ascolto più ampio possibile con le difficoltà che questo metodo comporta. Non pensiamo infatti che l’ascolto sia sufficiente per arrivare a un coinvolgimento più generale della popolazione. L’ascolto è una condizione necessaria ma non sufficiente.
E’ chiaro quindi che si pone un problema: quando si comincia ad ascoltare e a coinvolgere tante organizzazioni e tante persone è necessario essere coerenti in seguito e non dimenticarle. Quando “il popolo si desta Dio si pone alla sua testa”, diceva il poeta. Non si può incominciare ad ascoltare e poi fare finta di niente. Il coinvolgimento comporta responsabilità successive molto forti. Quindi occore essere molto chiari: a tutt’oggi non disponiamo degli strumenti istituzionali per assicurare il coinvoilgimento che in questo caso sarebbe necessari per costruire un forte piano strategico. Quello che non possono fare le istituzioni lo può fare una solidale azione congiunta.

Io voglio perciò rivolgere a tutti l’invito di cercare una calorosa e aperta collaborazione fra  coloro che parteciperanno a quest’impresa in modo da supplire alla mancanza di un’autorità formale e di mezzi finanziari adeguati. Nessuna categoria e nessuna persona deve partecipare a questo processo con spirito puramente rivendicativo o corporativo.
Queste raccomandazioni valgono come metodo di lavoro generale ma anche per tutti i tavoli specializzati: da quello dell’innovazione, a quello dell’ambiente, della conoscenza, dell’istruzione e cultura, del benessere e della coesione.
Altra raccomandazione: ritmi di lavoro e tempi. Quando le cose si trascinano e vanno troppo per le lunghe finiscono male. Dobbiamo dare alla città la certezza che, anche se possono essere fatti  errori, in ogni caso questo Piano intende  mettere in moto un processo decisionale. Se questo non avviene, avrà inizio un processo di autoesaurimento, che porterà inevitabilmente alla impossibilità di prendere decisioni. Bisogna insomma fare presto.
Queste le premesse che mi sembrava opportuno e doveroso fare, per non creare aspettative eccessive e per  indicare le condizioni alle quali il piano può avere il successo di rovesciare (come ha detto il Sindaco) il nostro atteggiamento rispetto al mondo e rispetto a quello che abbiamo intorno.
Iniziamo la nostra analisi partendo dalle risorse fondamentali di ogni piano strategico: il territorio e la popolazione. Non stiamo utilizzando bene nè l’uno nè l’altro.

2. Una risorsa non riproducibile: il territorio

Parto, forse in modo non atteso, dal territorio. Il nostro territorio, come tutti i territori, non è riproducibile. E’ una risorsa scarsa. I pianificatori non ne tengono di solito conto come si dovrebbe soprattutto in un territorio sovrapopolato come il nostro. Quindi, per favore, limiti all’urbanizzazione. Basta usare nuovi terreni: utilizziamo meglio quelli che abbiamo già urbanizzato.
Mi rendo conto che questo implica un cambiamento radicale della politica di gran parte dei comuni che, troppo spesso, hanno dovuto spingere al massimo i processi di urbanizzazione per reperire le risorse necessarie per fare quadrare i bilanci. È indispensabile cambiare rotta: non possiamo più sciupare altro territorio! L’urbanizzazione (cioè gli oneri che i cittadini pagano per l’urbanizzazione) come necessità per equilibrare i bilanci dell’amministrazione è il più grande pericolo per il nostro futuro. Quindi, il nuovo terreno è da utilizzare solo per le grandi scelte strategiche (in certi casi e quando ce n’è bisogno). Il nuovo orientamento deve essere il riutilizzo razionale del terreno che è già stato urbanizzato: ne abbiamo quantità enormi.
La politica territoriale tocca un altro problema di importanza radicale per il nostro futuro, che è l’agricoltura. Partire dall’agricoltura vi sorprenderà, dato il ruolo calante che essa ha assunto negliultimi anni, ma voglio segnalare che  l’agricoltura è anche il presidio degli equilibri del territorio. Quindi, va benissimo produrre energie alternative (attraverso le biomasse e quindi prodotti agricoli destinati a questo scopo), ma, calma, perchè l’agricoltura è l’agricoltura!
Seconda risorsa: la popolazione

3. La risorsa popolazione: l’immigrazione è necessaria

Il calo demografico è una tendenza secolare (lo abbiamo già sentito da chi mi ha preceduto). È in atto un calo enorme in Spagna, Italia e Germania, ma è una tendenza secolare in tutta l’Europa. Forse è una tendenza istintiva dell’umanità. Ho sempre cercato di trovare anche un ordine provvidenziale o razionale riguardo a questo problema. L’umanità ha sempre vissuto in un equilibrio tra l’alto numero di nascite e l’alto numero di morti. Poi abbiamo avuto le ultime generazioni con uno squilibrio derivante dall’ alto numero di nascite e dal basso numero di morti. Adesso forse l’umanità tende verso un nuovo complicato equilibrio di basse nascite e bassa mortalità, da cui derivano i difficili problemi dell’invecchiamento. Non voglio oggi entrare in questo campo così delicato e complesso.
Voglio solo sottolineare che la nostra situazione demografica porta come necessità l’immigrazione. Noi a volte la rifutiamo, a volte la subiamo, a volte ne minimizziamo il ruolo. Facciamocene una ragione: l’immigrazione ci accompagnerà sempre nel futuro. Il Piano strategico (io non sto in questo momento facendo un discorso di equità, o di carità, ma di necessità) deve trasformare questa necessità in una risorsa. E’ quanto è sempre avvenuto con i popoli, che hanno affrontato con successo i grandi cambiamenti storici, compreso quello dell’arrivo dei barbari. Chi ha cercato di tenerli fuori ha provocato la rovina delle civiltà e dei paesi. Il piano strategico è una sfida che implica il confronto, che implica la fusione fra le vecchie e le nuove componenti, che richiede di valorizzare le risorse  di entrambe. Non mi riferisco  tanto alla prima generazione degli immigrati, ma alla seconda o alla terza. Anche la prima ci costringe ad affrontare il problema seriamente: si pensi ad esempio alle tante badanti ucraine che hanno la laurea (o che sono state presidi di facoltà, come mi è accaduto di constatare). Oggi però dobbiamo soprattutto porci il problema delle seconde e terze generazioni di immigrati.
Ricordatevi che anche tra loro, forse sopratutto tra loro (per l’energia che esprimono i popoli che vogliono progredire), dovranno nascere i nostri futuri dirigenti, i nostri futuri leaders politici, i nostri futuri imprenditori.
Il Piano strategico deve promuovere nuove energie per la nuova Bologna.
Non interpretate queste mie parole sintetizzando che in sostanza “noi ci ritiriamo, vengono altri”: non è così, c’è una amalgama nuovo, che fa le città nuove.

4. Gli insegnamenti della storia: aprirsi al mondo

Ora  vado un po’ indietro nella storia di Bologna, perchè essa ci sollecita riflessioni che ci devono guidare nel presente.
Pensiamo alla nostra Università, che è il cuore della città, è stata la prima in Occidente. Essa è stata, nei suoi primi secoli di vita, il punto di riferimento intellettuale per tutta l’Europa. Mi emoziono sempre quando all’Archiginnasio vedo gli stemmi di famiglia degli studenti che venivano da tutto il mondo allora conosciuto.
Quando tutto questo è cominciato a declinare e decadere?
Quando i professori universitari hanno cominciato a sostenere che a Bologna potevano insegnare soltanto i professori italiani o i professori bolognesi. A quel punto la nostra Università è diventata una delle tante, perchè non era più aperta al mondo.
La nostra industria bolognese, la nostra industria della seta, ha avuto la stessa storia. Era un’industria spettacolosa. Essa primeggiava in tutto. Prendete gli studi di Carlo Poni sulla storia dei mulini per la seta. Erano macchine di tecnologia raffinatissima; la ricostruzione delle quali la potete ancora ammirare nei nostri musei. Macchine che costituiscono le antenate delle nostre macchine da imballaggio. Quando questa industria è andata in crisi? Quando le corporazioni (questo incredibile incrocio tra sindacato e padronato) hanno deciso che potevano lavorare nelle nostre fabbriche solo coloro che abitavano all’interno della cerchia delle mura. Per una generazione gli stipendi si sono alzati, poi l’industria è fuggita portandosi via tutto il nostro primato tecnologico. Una decadenza causata da superbia intellettuale e visione di corto periodo. In tutti questi casi la morale è una sola: nella storia la crisi di Bologna è avvenuta  quando la città si è chiusa in se stessa. La sfida si perde se uno si chiude; guardate che da questa crisi ci siamo rialzati solo dopo secoli e secoli. Non è durata poco: ci siamo rialzati solo in questo secondo dopoguerra quando l’apertura è avvenuta, quando la voglia di farcela, la miseria, le tensioni ci hanno portato al nuovo. Ecco, se fosse presente il professor Poni forse direbbe che sto esasperando e semplificando i problemi. Lo faccio apposta (e vi chiedo scusa per questo) perchè credo che per capire la forza delle scelte che abbiamo di fronte, abbiamo bisogno proprio di semplificare le cose, e di ridurre il numero delle decisioni. Se vi è meno miseria rispetto agli anni ’50, durante i quali c’è stata la grande ripresa, oggi siamo però di fronte alla stessa urgenza, alla stessa violenza della storia, alla stessa grandezza della sfida.
Anzi si tratta di una sfida forse maggiore.
Ho parlato al passato per aiutare tutti noi a capire che abbiamo un grande passato, ma che esso non ci rassicura affatto, perchè abbiamo fatto grandi errori anche nel passato e quindi dobbiamo sapere considerare quel passato come uno stimolo per un nuovo futuro.

5. Il nostro posizionamento strategico

Qual è oggi il nostro posizionamento strategico? Che risorse abbiamo per il nostro futuro? Quali sono le risorse critiche (come dicono gli economisti aziendali) e quali sono le nostre ambizioni? Noi non siamo New York, non siamo Londra e, forse, nemmeno Barcellona. Abbiamo però alcune risorse distintive sulle quali dobbiamo costruire il futuro.

Io ne elenco quattro:

  1. Collocazione territoriale e accessibilità
  2. Università
  3. Una solida manifattura soprattutto nei beni strumentali (il sapere meccanico che si incrocia con gli altri saperi)
  4. Un sistema sanitario con grandi possibilità di sviluppo. (Vi sembrerà strana questa scelta ma cercherò di motivarla perché la sanità assorbe e ancora di più assorbirà, una tal parte del reddito, degli impegni finanziari e dell’attenzione della società futura che può essere davvero una leva strategica)

6. Collocazione territoriale, accessibilità e logistica

Bologna è sempre stata un nodo delle reti di  comunicazione  per il trasporto di persone e merci. Bologna è diventata sempre più importante come nodo stradale e ferroviario, ma oggi abbiamo bisogno di utilizzare strategicamente questa nostra centralità e gli elementi nuovi che la caratterizzano. Oggi siamo ad un’ora da Milano e a mezz’ora da Firenze. Non ce ne siamo ancora accorti e non ne abbiamo tirato le conseguenze. Questo rivoluzionerà -e cercherò di spiegarlo- la nostra vita economica, nel bene e nel male a seconda dell’impegno intellettuale e delle energie che noi impiegheremo sul tema. Perché essere pendolari con Firenze e Milano implica un bel cambiamento rispetto al passato.
Naturalmente nelle nuove strategie non c’è solo il trasporto via  terra. C’è l’aeroporto che si lega strettamente alla nostra nuova centralità. L’aeroporto, che è diventato straordinario, non può costituire un hub, un punto di interscambio a livello mondiale, ma può e deve allargare la sua attività al di fuori dell’Europa verso alcuni punti strategici: Shanghai, Pechino, New York, Mosca e altre grandi metropoli del mondo devono essere collegate con Bologna. La nostra dimensione territoriale antica non basta.
Quando mi è stata attribuita da alcuni quotidiani la paternità del people mover, mi ero limitato a dire in un’intervista: “ragazzi, quando si inaugurerà la linea Firenze-Bologna, bisogna che si abbia qualcosa che costi poco e che ci porti all’aeroporto in modo veloce e diretto, così da farlo diventare l’aeroporto di Bologna e di Firenze. Questo risulterà di vantaggio per Firenze e per Bologna”. Mettiamo le due città insieme perchè da sole non possono sostenere i collegamenti con le grandi città extra-europee, con tutto il mondo.
Da soli non possiamo avere un aeroporto con il necessario respiro intercontinentale.
[Interventocritico dal pubblico sul people mouver]
Con l’inaugurazione dell’Alta Velocità, abbiamo perso l’opportunità di istituire un trasporto che porti da Santa Maria Novella all’aeroporto di Bologna in un’ora. Adesso si inaugurerà la stazione sotterranea: cerchiamo di affrettarci verso una soluzione in questa direzione. Bologna è stata in passato, per sua natura, il punto di riferimento, il polo di una grande attività logistica: si ricordi  Sigma, Crai, Conad. Lo è stato in modo naturale. Negli ultimi tempi però, le nuove collocazioni nazionali, parlo in questo caso di realtà importanti, come IKEA e Amazon, si sono collocate a Piacenza. Piacenza è una città interessante, non sto mettendo Bologna contro Piacenza, ma quando sono andato a cercare di capire perché si sono collocate là, la risposta è stata abbastanza semplice: tutto era disponibile in fretta, abbastanza pronto e non avevamo bisogno di prendere decisioni ulteriori. Tutto dev’essere pronto in fretta, perché il mondo di oggi ha rapidità di decisione impressionante, perché Amazon, IKEA e chiunque abbia bisogno di una base logistica decide nello spazio di poche settimane. Non riescono ad aspettare anni e quindi la disponibilità di infrastrutture e di aree attrezzate diventa lo strumento di successo. Evidentemente mi fa piacere che Comune, Regione e Provincia negli interventi fatti in precedenza abbiamo già inteso questo come un elemento di successo assolutamente prioritario.

7. La risorsa Università

L’Università è un elemento forte, solido, di livello. Bologna nel mondo è l’Università. È un elemento quasi leggendario quello di essere stata la prima nel mondo. C’è verso la nostra Università un’attesa molto forte. Tuttavia se noi guardiamo alla presenza di professori stranieri essa non è molto dissimile dalla situazione che ha messo in crisi Bologna secoli fa. C’è dominio di professori italiani, allievi italiani. Questo come in tutte le università italiane. E, come nelle altre Università, i rapporti con il sistema produttivo sono faticosi. Il problema non è bolognese ma qui a Bologna abbiamo il prestigio, l’autorevolezza e anche le dimensioni per essere i primi a rompere l’isolamento dell’accademia italiana nei confronti del resto del mondo. Se qui non c’è, ad esempio,  un numero crescente di corsi in cui si parla solo inglese, noi al mondo non ci apriamo. Capisco che questo è un problema. Quando ho letto sul giornale l’altro giorno le obiezioni per lo spostamento di seicento metri della facoltà di lettere mi è venuto spontaneamente da pensare “mamma mia come tutto sarà  difficile se si apre un problema di identità tra l’essere in Via Zamboni o nella zona della Staveco!”. Se partiamo con questi orizzonti è ben difficile che si riesca a fare un piano strategico! L’Università quando accetta la sfida, quando si apre, può sviluppare enormi potenzialità. Faccio solo alcuni esempi che non sono certamente i soli o i più rappresentativi, ma con cui sono venuto a contatto nella mia vita. Penso a Prometeia che fa consulenze raffinatissime, scientificmente e tecnicamente complesse, alle grandi banche di tutto il mondo. È partita da un’idea del Professor Andreatta e da un gruppo di ricercatori dell’Istituto di Economia dell’Università. Oggi ha 400 dipendenti di altissima specialità, divisi tra Milano e Bologna, e lavora in tutto il mondo. È qui che è il nuovo, noi  dobbiamo creare tantissime realtà di questo tipo. Pensiamo all’informatica nuova che sta nascendo legata all’industria dell’imballaggio. Pensiamo alle eccellenze sugli studi della qualità urbana e a tantissime altre potenzialità che possono essere sviluppate solo con un rinnovato rapporto fra università e sistema produttivo e fra università e  mondo esterno.
Un’università che lavora solo per il proprio territorio potrà essere un’ottima scuola media superiore ma non sarà mai una Università nel senso vero del termine. Il termine “università” implica accettare le sfide a costo di rompere le proprie strutture, sia per quanto rigurda  gli studenti, sia per quanto rigurda  i professori: progetti comuni, laboratori comuni, strategie comuni con le grandi università straniere. Questo è il grande cambiamento di cui l’università ha bisogno, ben conoscendo tutte le difficoltà delle leggi italiane in materia. Dobbiamo dare all’Università di Bologna un aiuto perché possa prendere forti decisioni sapendo benissimo le difficoltà enormi che il rettore sta affrontando e deve affrontare per riuscire in questo obiettivo. Ma se non si riesce in questo, la città rimane senza uno dei quattro pilastri su cui si deve reggere.

8. La manifattura

Il potenziale di conoscenze della nostra impresa è molto superiore a quello che viene espresso all’esterno. E’ un potenziale straordinario ma molto frammentato. Ha quindi  difficoltà di affermazione all’esterno, ma è una rarissima miscela che riunisce cultura meccanica, elettronica, oleodinamica, informatica, e che può esprimersi in moltissime altre direzioni, ma che ha bisogno di rapporti con le strutture di ricerca e di uomini nuovi e aperti a nuove esperienze. Uomini formati non solo nell’università, ma in tutto il sistema scolastico e nelle scuole tecniche e professionali in particolare. Le risorse umane per il nostro futuro devono dunque essere al centro del nostro Piano strategico. Con questo si ritorna al problema della doppia apertura: verso l’esterno e verso le nuove generazioni di immigrati. Perchè la sfida è proprio quello di coinvolgere le nuove generazioni di immigrati in questo tipo di sviluppo.
Quest’ultimo è un problema comune a tutti i paesi europei ma mi piacerebbe che Bologna potesse assumerne un ruolo importante di sperimentazione a livello continentale, collegando sviluppo economico e welfare come è tipico della nostra tradizione emiliana.
Allo stesso modo con cui Reggio Emilia (con Reggio Children) ha costruito un punto di riferimento mondiale per le sue scuole d’infanzia, io vedo un grande ruolo di Bologna nel portare avanti l’obiettivo dell’inserimento economico-sociale della seconda generazione degli immigrati.
Si tratta di un impegno complesso, che deve coinvolgere tutte le forze individuali e collettive della nostra comunità. Per evitare le eventuali difficoltà che determinano il fenomeno dell’abbandono scolastico di tanti giovani e per  valorizzare a pieno le capacità di tutti. Abbiamo bisogno di nuove sperimentazioni e di grandissimo impegno perchè questo è decisivo per il nostro domani! Quando, come ha detto in precedenza Beatrice Draghetti, abbiamo già raggiunto in pochi anni una presenza di immigrati del 12%, significa che siamo già oggi una società nuova e che ne dobbiamo trarre le conseguenze.
Il problema è quello di preparare nuovi periti, nuove scuole tecniche (e tanti ragazzi di famiglie immigrate stanno già frequentando le nostre scuole tecniche) per le nuove esigenze, di applicare nuovi insegnamenti, di creare nuovi corsi di uno o due anni dopo il diploma. La nostra industria ha un enorme bisogno di uomini nuovi. Ritorno, anche in questo caso al problema della lingua inglese. Dobbiamo avere una o più sezioni delle nostre scuole tecniche in cui si insegni esclusivamente in inglese perchè le nostre imprese non hanno bisogno solo di gente capace di usare la chiave inglese, ma anche la lingua inglese. Chiunque frequenti i voli che partono da Bologna sa bene come siano pieni di montatori, tecnici e venditori delle nostre aziende che raggiungono tutti i paesi del mondo.

9. Piccolo è bello ma medio è più bello

Poi vi è il problema delle dimensioni aziendali: piccolo è bello, ma medio è ancora più bello. Ormai siamo entrati in questa realtà. Se facciamo il confronto della produttività fra le imprese da 20 addetti a quelle da 200, c’è una differenza enorme in favore delle imprese più grandi. Gli studi ultimi lo dimostrano e noi dobbiamo aiutare la necessaria crescita delle imprese. Bologna ha un’industria strumentale con potenzialità di leadership mondiale in molti raffinati settori di nicchia che, come abbiamo visto in precedenza, mettono insieme diverse tecnologie. Bisogna rafforzare e moltiplicare questa capacità innovativa! La Germania sta rinnovando tutta la sua capacità innovativa con gli istituti Fraunhofer: cioè ci sono i Max Planckt che fanno la ricerca teorica e poi c’è Fraunhofer che sviluppa la ricerca applicata tenendo conto delle vocazioni produttive regionali. Noi dobbiamo fare centri come questi a Bologna. Anche perchè dobbiamo essere capaci di mostrare a tutti l’immagine intellettuale della Bologna meccanica, capace però di assorbire le nuove culture tecnologiche. Deve essere uno sforzo comune e rapido perchè da esso dipende la prosperità della nostra industria. Uno  dei miei dispiaceri è quello di constatare, da quando ho ricominciato un po’ a studiare, che la stessa macchina con scritto ‘made in Germany’ si vende al 10-20% in più della stessa macchina con scritto ‘made in Italy’. Parlo di una macchina assolutamente identica!! Se questo accade vuole dire che non abbiamo ancora manifestato al mondo la misura della nostra capacità creativa.
Noi siamo certamente creativi: dobbiamo fare rete affinché questo venga fuori.
Il problema della seconda generazione di immigrati, è solo un esempio del ruolo innovativo che dobbiamo giocare anche nel welfare. L’ho messo in particolare rilievo perchè mi sembra un esempio unico dell’interazione necessaria fra il mondo della solidarietà e quello della produzione. Naturalmente vi possono essere tanti altri settori del Welfare che meritano la nostra attenzione. Un Piano strategico non può infatti rivolgersi solo agli aspetti produttivi ma deve fare in modo che la società abbia anche la capacità di costruire una società solidale che tra l’altro è risorsa importante per lo stesso sistema produttivo Ritengo che perseguire questo obiettivo rientri nei nostri doveri e nelle nostre possibilità.

10. Come fonte di innovazione e di sviluppo: la Sanità

Il sistema sanitario è una delle maggiori risorse di Bologna. Ormai per la sanità i paesi spendono in media più del 10% del loro reddito quindi non stiamo parlando di un settore secondario considerando invece un pilastro della società moderna. In primo luogo dobbiamo tenere presente che, riguardo al sistema sanitario, non si producono o si esportano solo beni ma anche modelli organizzativi di funzionamento e servizi raffinatissimi.
La nostra vita media è molto elevata, il costo della sanità è relativamente inferiore a quello degli altri paesi, il livello delle strutture ospedaliere si colloca tra i più soddisfacenti.
Tutto questo viene riconosciuto anche da oggettivi confronti internazionali.
Bisogna su questo costruire un sistema organico che, insieme al modello sanitario, sia in grado di sviluppare ed esportare tutti i beni e servizi che sono legati al mondo della sanità. I possibili sviluppi in materia sono molteplici ma già abbiamo esempi ai quali ispirarsi.
Penso alla protesica che si sviluppa intorno a Budrio ma anche a realtà meno evidenti ma non meno importanti. Ben pochi sanno ad esempio che a Bologna esiste una società che si chiama Noemalife, che è la più grande impresa europea di informatica per la sanità. Essa è nata a Bologna proprio per le sinergie tra la facoltà di ingegneria e il mondo sanitario bolognese.
Naturalmente per trasformare in sistema tutte le singole iniziative bisogna fare scelte e investire in alcune direzioni e non in altre.
Sullo sfondo vi è il valore di una qualità della vita della città che, al di là delle critiche e dei problemi, è ancora fortemente apprezzata. Ci lamentiamo giustamente del degrado e dell’incuria ma quando i forestieri arrivano rimangono sempre gradevolmene attratti. Abbiamo una pinacoteca, i musei della città, i musei medievali, i teatri, la cineteca, il Mulino, i Martedì di San Domenico (e cito solo le cose che conosco direttamente), e tante piccole iniziative culturali di qualità, insomma  c’è tutto. Bologna è una città  viva, che ancora si riflette nella unicità dei suoi portici. E in tutto il territorio provinciale abbiamo tantissimi fermenti culturali. Abbiamo valori che, se messi in rete, possono dare risultati interessanti. Una cultura che vive con l’Università, ma non esclusivamente legata all’Università. Ecco, queste sono le raffinatezze che noi abbiamo e che devono essere messe in rete e potenziate. Queste sono a mio parere i punti di forza su cui dobbiamo lavorare per il futuro.

11. Le istituzioni finanziarie

Certamente abbiamo alcuni problemi e tra questi è doveroso elencare quello delle istituzioni bancarie e finanziarie. Esse hanno subito grandi trasformazioni. I nostri istituti locali, Cassa di Risparmio e Credito Romagnolo, sono entrati in un ambito più ampio reso probabilmente inevitabile dai grandi processi di globalizzazione. Le sedi principali di queste banche sono emigrate altrove ma vi è la possibilità (anche in questo caso con scelte precise) di avere a Bologna il centro decisionale di importanti settori delle banche stesse. Anche in questo caso va sfruttato in senso positivo il nuovo sistema dei trasporti ferroviari. Perché ripeto, si può fare i pendolari da Bologna a Milano ma anche da Milano a Bologna. Dobbiamo affrontare in modo costruttivo la sfida di una nuova possibile area metropolitana di servizi superiori che si estende da Firenze a Milano. Noi siamo al centro di questa area: è un grande vantaggio, però, ripeto, se non ci muoviamo, offriremo solo pendolari verso Milano o verso Firenze. Naturalmente a fianco del ruolo che Bologna può ricoprire nell’ambito di Intesa o Unicredit è certamente interessante riflettere su quale funzione potrà esercitare Unipol nello sviluppo metropolitano. È ancora una situazione fluida perche tante decisioni sono ancora in corso, ma è un problema che interessa strategicamente Bologna, nella direzione del rafforzamento del terziario superiore.
E’ chiaro che se le operazioni in corso si realizzeranno, l’Unipol stessa dovrà affrontare il problema del posizionamento internazionale e quindi di ulteriori cambiamenti. Ho parlato di Unipol perché sono in corso negoziati che ne possono cambiare la natura e la dimensione e anche perchè proprio da Unipol è stata realizzata l’ opera più importante e visibile dell’urbanistica bolognese. Piaccia o meno, questa è una nuova scenografia della città. Come capita in Italia si è fatto una grande scenografia ma sono poi rimasti in piedi gli edifici pre-esistenti che coprono la scenografia stessa. Ma questa è un po’ una parabola del difficile passaggio che noi ci troviamo ad affrontare tra passato e futuro.

12. Le risorse finanziarie

Alla fine di questa mia riflessione, percepisco in tutti voi la domanda: “con quali risorse finanziarie?”. Oggi non vi sono risorse pubbliche e non vi sono risorse private. Cioè nel mio dialetto di origine si direbbe “la va mél e po la cres” e cioè “l’oggi è difficile e il domani lo sarà ancora di più”. E io dico che quando si è in presenza di cambiamenti storici così profondi, che toccano gli aspetti culturali, economici, scientifici e  i modelli di vita, non dico che l’aspetto finanziario sia secondario ma ritengo che possa essere risolto solo aprendoci al nuovo, legandoci a chi corre più in fretta. Noi ci salveremo se apriremo alleanze e collaborazioni in tutti i campi con le locomotive della storia, le vecchie e le nuove locomotive della storia. Attraverso l’Università, l’Aeroporto, la Fiera, attraverso le nostre imprese, le nostre istituzioni. Con collaborazioni, accordi, scambi di esperienza, cervelli in entrata, cervelli in uscita e, infine, partecipazioni finanziarie. Non bisogna avere paura, nessuna paura: l’aggancio al mondo è la nostra unica salvezza. Noi dovremmo, proprio come nei corridoi dell’Archiginnasio, avere dipinto sui muri della nostra città non incomprensibili geroglifici ma gli stemmi dei futuri leader di tutti i paesi del mondo. Come quando venivano qui a studiare coloro che sono poi diventati i leader dei loro paesi. Dobbiamo ricostruire questo ruolo di Bologna, questa sua unica vocazione. Il passato ci deve fornire la spinta per il futuro. Un piccolo esempio di questi giorni. Il 10 e 11 maggio ci sarà a Bologna il primo convegno mondiale di confronto tra Medicina cinese e Medicina occidentale. In un primo tempo da parte cinese era stato richiesto di fare a Bologna una semplice esposizione della Medicina cinese. Ho spiegato che sarebbe stato più produttivo e più significativo fare nella più antica università dell’occidente un confronto fra il passato delle due grandi culture mediche per vedere quali sinergie si potevano sviluppare per il futuro. L’accordo è stato subito trovato quando sono venuti a visitare la Sala Anatomica e lo Stabat Mater.
Simboli di un passato glorioso che rendeva immediatamente più facile il dialogo sul futuro.
Per salvare Bologna, noi non possiamo permetterci di rimanere chiusi nel nostro passato. Il nostro passato ci deve servire per costruire il futuro. Se si accetta la sfida, si trasforma noi stessi e le nostre istituzioni, i risultati non possono mancare.
Un altro esempio (sempre di questi giorni) dei frutti che nascono dall’apertura verso il mondo.
Ho vissuto nei mesi scorsi gli accordi per l’Alma Graduate School di Bologna con le consorelle di Rio de Janeiro, Mosca, Miami, Tienjin. Come risultato quest’anno nel corso dell’MBA ci sono 73 studenti, di cui 67 stranieri.
E gli studenti provenienti dagli Stati Uniti sono più numerosi di quelli italiani. La cosa che più mi ha colpito è però che alcune strtture produttive di Bologna si sono afffidate alla Business School per ricercare specialisti per la loro strategia in Africa. Specialisti che non riuscivano a trovare e che li ha visti crescere e formarsi proprio qui in casa.
Ultima osservazione, e qui mi rivolgo a Beatrice e Virginio – che nomi impegnativi e antichi! – perché, nel loro gioco strategico, devono affrontare anche il problema dell’efficienza istituzionale. Sono stato il primo a esporre i limiti legislativi che abbiamo, quindi mi rendo conto delle difficoltà che essi hanno di fronte. È chiaro che la soluzione non dipende solo da Bologna ma è chiaro che da qui possono e debbono partire proposte e sperimentazioni. E anche esperimenti rischiosi. Io capisco che i politici e i pubblici amministratori vivono terrorizzati per le conseguenze delle loro decisioni, anche quando sono oneste e pulite, perché siamo in un mondo di incertezza. Capisco anche che la frammentazione delle competenze impedisce di risolvere i problemi con la necessaria rapidità e con la necessaria efficacia. Qui però, non c’è niente da fare: voi vi dovete assumere il rischio di sperimentare. Se ve lo assumete in modo corretto la città è con voi. Ricomporre e snellire i procedimenti decisionali comporta fatica e rischi, ma è indispensabile per trasmettere ai cittadini il messaggio che si può fare qualcosa di nuovo. E, soprattutto, trasmettere agli italiani e ai bolognesi, che ormai sono rassegnati da troppi anni a perdere, che si può anche vincere, che vi è spazio per vincere.
Se noi pensiamo di vincere senza accettare la sfida, abbiamo già perso. Se invece noi accettiamo la sfida, abbiamo grandi possibilità di vittoria.
Anzi sono convinto che certamente potremo vincere, perchè la nostra città ha davvero grandi risorse.

 

Romano Prodi, Presidente del Forum per il Piano Strategico di Bologna

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