Tornare a investire subito nelle scienze della vita, nelle nuove energie e nella protezione ambientale

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 22 Luglio 2009
 
UN certo amore di patria aveva fatto sospendere, nell’imminenza e durante il G8, le discussioni sulla politica economica italiana. Lo stesso amore di patria ci obbliga oggi a riprenderle perché grande è la confusione di dati e opinioni.

Il punto di partenza è che le ultime cifre del Governo prevedono per l’anno in corso una diminuzione del PNL del 5,2%, con il proseguimento della sostanziale gelata anche per l’anno prossimo (+ 0,5%). Il Governo cioè sembra approvare con le sue previsioni i numeri dei “catastrofisti” che tanto aveva biasimato.

A tutto questo il Documento di Programmazione Economica e Finanziaria (DPEF) aggiunge l’esplosione del disavanzo pubblico con un aumento di 43 Miliardi nel 2008 fino ad oltre 81 Miliardi nel 2009, pari cioè al 5,3% del Prodotto interno lordo. Dati che non possono non preoccupare anche se vengono sbrigativamente attribuiti in modo prevalente agli effetti della crisi mondiale.

Questa facile conclusione ha tuttavia bisogno di alcune precisazioni.

La prima è che il drammatico peggioramento del bilancio dello Stato tra il 2008 e il 2009 è dovuto a un calo delle entrate (per effetto combinato della crisi e della maggiore evasione fiscale) pari a 9 Miliardi di euro ma, per ben 35 Miliardi, alla incontrollata crescita delle spese primarie, cioè delle spese ordinarie della Pubblica amministrazione, aumentate del 4,9% rispetto all’anno precedente.
Si tratta del dato più sorprendente di tutti perché mette in evidenza una non prevista espansione della spesa ordinaria delle P.A. di fronte ad una preoccupante caduta degli investimenti. Tutto questo in presenza di una diminuzione del peso degli interessi, per effetto della caduta dei tassi nei mercati internazionali. Davvero viene da pensare che qualche “fannullone” si sia dimenticato di esercitare il proprio compito di contenere la spesa corrente della Pubblica amministrazione e di indirizzarla invece verso gli investimenti necessari per sostenere lo sviluppo futuro del Paese. Insisto su quest’aspetto perché il doveroso controllo della spesa pubblica avrebbe potuto rendere disponibili le risorse necessarie per qualche azione di contrasto della crisi economica senza fare ulteriormente esplodere il deficit.

La seconda precisazione riguarda appunto la quasi assoluta mancanza di interventi a sostegno della domanda e della produzione. Sono stati mobilitati un totale di 3 Miliardi di euro, pari allo 0,2% del PNL, mentre negli altri paesi l’intervento minimo è stato, in percentuale, dieci volte maggiore, come emerge dai dati del Fondo monetario internazionale. Questa scelta di non intervento non può essere casuale. Essa può solo derivare dalla convinta previsione di una rapida uscita dalla crisi. Se non si fanno interventi anticiclici si deve infatti pensare che il ciclo negativo volga rapidamente al termine. Speriamo che il Governo abbia ragione, ma non vi è ancora la minima evidenza a provarlo.

ISTAT: PIL Italia primo trimestre 2009

ISTAT: PIL Italia primo trimestre 2009

La produzione procede ancora ai minimi storici e perfino i consumi fondamentali hanno dimostrato nelle ultime settimane un segno di ulteriore (e non prevista) caduta. Il sistema delle imprese è inoltre in progressiva sofferenza. Crollano i fatturati delle maggiori imprese, mentre le aziende minori non hanno più le energie finanziarie per resistere ad un calo della domanda senza precedenti.

Una semplice evidenza di tutto questo è che i maggiori gruppi bancari operanti in Italia registrano un aumento del 125% delle sofferenze. Non si può certo aspettare l’autunno senza un cambiamento di politica economica. Non si può davvero pensare ad una ulteriore manovra (finora ne sono state fatte sette) che si limiti a fare “ammuina”, mescolando cioè le cifre senza cambiare la destinazione delle risorse, che dovrebbero essere invece indirizzate verso il sostegno del sistema produttivo e della domanda da parte dei redditi più bassi. E nemmeno si può pensare all’uscita della crisi spostando le risorse pubbliche dalla spesa per investimenti alla spesa corrente. La durata della crisi non ci consente di essere l’unico Paese che ancora non ha adottato misure anticicliche in favore delle imprese, almeno per evitare che, dopo il periodo delle ferie estive, molte delle nostre piccole e medie aziende rimangano chiuse per sempre.

È chiaro che una certa parte delle conseguenze di questa crisi dovrà essere sopportata, come sempre avviene in questi casi, dal sistema bancario ma è altrettanto chiaro che, limitandoci a questo, rischiamo di finire col distruggere banche ed imprese. Abbiamo invece bisogno di una ristrutturazione non solo dolorosa ma anche virtuosa, volta cioè a preparare un futuro alle nostre imprese. Non possiamo cioè aspettare passivamente la ripresa perché nel frattempo il sistema industriale si indebolirà in modo irreversibile. La ripresa va preparata con una politica industriale che rafforzi le imprese minori, che incentivi la ricerca e lo sviluppo e che, soprattutto, indirizzi gli investimenti delle nostre imprese verso nuovi sviluppi e nuove produzioni. Abbiamo già indicato nelle scienze della vita, nelle nuove energie e nella protezioni ambientale alcuni dei campi più promettenti che si presentano di fronte ai nuovi orizzonti dell’economia.

Molte altre strade potranno essere certamente percorse ma queste strade vanno prima costruite. Aspettare che venga la ripresa e che tutto si aggiusti da solo mi sembra, con i dati in nostro possesso, una politica forse un poco azzardata. Le nostre piccole e medie imprese sono il bene più prezioso che possediamo: è necessario che questo bene non solo sia custodito ma sia preparato alle sfide future. Non ci si può cioè sottrarre alla necessità di preparare un’attiva politica industriale prima che sia troppo tardi.

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
luglio 22, 2009
Italia