L’Unione Africana deve darsi la pace da sola

Romano Prodi

Romano Prodi

L’Unione Africana deve darsi la pace da sola
 
Articolo di Romano Prodi su La Stampa del 5 luglio 2009
 
Negli ultimi anni, in molti paesi dell’Africa, si sono visti alcuni importanti segni di sviluppo e veri passi avanti nella vita democratica. In tanti altri, invece, la fame, le malattie, il terrore sono ancora presenti e paiono non lasciare speranza.

E in Africa, più che in ogni altro continente del mondo, c’è la guerra, anzi ci sono guerre. Ed è esclusivamente di questa tragedia che voglio occuparmi in queste mie brevi riflessioni.
Dal Corno d’Africa, ai grandi Laghi, all’Africa Occidentale, i conflitti sono endemici.
I costi sono altissimi in milioni di vite umane spezzate e miliardi di euro consumati. I problemi associati (infrastrutture distrutte, disastri ambientali, epidemie e così via) fanno a lungo termine più danni dei conflitti stessi. La conseguenza di tutto ciò è che i tentativi della comunità internazionale di alleviare la povertà si dimostrano molto spesso inefficaci.

Dove c’è guerra non c’è sviluppo, ma è anche vero che dove non c’è sviluppo è più facile che nasca la guerra. Nello sforzo di mantenere la pace, la comunità internazionale ha speso risorse notevoli negli ultimi anni. Nel bilancio delle Nazioni Unite le risorse dedicate al mantenimento della pace sono intorno ai sette miliardi di dollari all’anno. Sembrerebbe una cifra rilevante, anche se essa supera di poco quanto viene speso in un giorno nel mondo per il cumulo delle spese militari. Tuttavia le forze delle Nazioni Unite vedono oltre centomila persone coinvolte, con una crescita esponenziale a partire dagli anni ’90.

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha infatti la piena responsabilità per quanto riguarda “Pace e Sicurezza”, e questa responsabilità deve rimanere nelle sue mani. Pace e guerra sono responsabilità delle Nazioni Unite. Tuttavia di anno in anno è diventato sempre più chiaro che questo compito non può essere svolto senza un coinvolgimento molto più profondo delle Istituzioni Africane, dalla Unione Africana alle Organizzazioni Regionali.

La Unione Africana (che ha come modello l’Unione Europea anche se è ancora in una fase molto elementare della propria organizzazione) si è resa ben conto della necessità di sviluppare una capacità propria di rispondere, sotto la supervisione delle Nazioni Unite, alle crisi del continente.

Ma mentre la capacità di intervenire militarmente può essere una parte della soluzione, è ben chiaro che la pace nel Continente Africano non può essere raggiunta con il solo spiegamento della forza militare. E’ fondamentale che la comunità internazionale, l’Unione Africana e i diversi stati africani, possano agire prima che gli eventi portino alla guerra. Quando la guerra è cominciata le azioni di pace sono meno efficaci.

Attività associate, quali la prevenzione e la risoluzione dei conflitti, la ricostruzione delle infrastrutture materiali, delle strutture produttive e delle istituzioni pubbliche, debbono costituire parte integrante della capacità di mantenimento della pace.
Perchè tuttavia, un problema così grande possa essere affrontato con successo, serve un cambiamento profondo dell’atteggiamento dei paesi più avanzati presenti in Africa.
Abbiamo bisogno di strategie a livello continentale e locale che sostengano i grandi sforzi dei leaders politici africani dedicati a sviluppare la capacità di governo e di stabilità che sono indispensabili alla pace.

Questo è il motivo grazie al quale nel rapporto del Gruppo di lavoro nominato congiutamente da ONU e Unione Africana, e da me presieduto, abbiamo suggerito con forza di creare alcune condizioni indispensabili per far crescere la partecipazione della Unione Africana a tutte le decisioni riguardanti la pace.

Abbiamo proposto di far nascere, grazie ad adeguati meccanismi di finanziamento, una capacità di ‘peacekeeping’ nell’Unione Africana in modo di trasferire agli africani una crescente, nel tempo, responsabilità nelle operazioni di questo tipo, come è già stato fatto con successo da parte dell’Unione Europea.

Quando tre mesi fa ho presentato e discusso il nostro rapporto al Consiglio di sicurezza ho visto tuttavia che, da parte di alcuni dei più importanti paesi che ne facevano parte, non vi era molta disponibilità a trasferire poteri (‘Empower’) di “Peace Keeping”, all’Unione Africana, anche se solo in parte e progressivamente nel tempo. Le posizioni degli oltre 30 paesi intervenuti al dibattito del Consiglio di Sicurezza sono state molto variegate . Da un lato Cina, Italia e molti paesi Mediterranei sono favorevoli ad attribuire all’Unione Africana un ruolo sempre crescente. Dall’altro, fra i paesi nettamente contrari, vi sono Francia , Gran Bretagna e Giappone.

Ascoltando le parole di questi ultimi non ho potuto evitare di pensare che la opposizione ad un progressivo trasferimento di potere ai paesi africani nel processo di ‘peacekeeping’ fosse fortemente influenzato dal passato coloniale. Uno stato d’animo molto pericoloso per il futuro dell’Africa e del mondo intero, perché non tiene conto dei problemi che emergono dalle vere e profonde radici dell’Africa e dell’origine dei conflitti, spesso di natura tribale.
E che chiama i paesi ricchi ad intervenire con i loro mezzi ed i loro modi, anche se, sempre più spesso le truppe da loro finanziate non sono certo formate da militari degli stessi paesi ricchi, sempre più riluttanti se non radicalmente negativi riguardo all’invio di propri soldati per il mantenimento della pace in Africa.

A me pare chiaro che questa sia la scelta sbagliata di una cultura vecchia. La maggior parte delle situazioni di conflitto in Africa non sono la causa delle guerre, sono principalmente la conseguenza del mancato trasferimento di poteri e capacità agli africani e alle loro istituzioni. Dobbiamo farlo presto per evitare che nuove grandi tragedie si sviluppino senza possibilità di controllo.

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
luglio 5, 2009
Italia