Una profonda riforma dell’ONU ed un esercito comune per farne rispettare le decisioni

unA real reform of the United Nations and a military permanent force to implement its decisions

Il congresso di Vienna fu il primo incontro mondiale di grandi potenze con l’intento di mettere ordine dopo la rivoluzione francese e Napoleone.
Secondo Henry Kissinger anticipò “Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite” ed assicurò pace e stabilità. Pose le basi per la nascita dell’idea odierna che un accordo diplomatico, sia sempre preferibile alla distruzione della guerra.
Perfino il non pacifista Winston Churchill ammise che “il bla bla diplomatico è sicuramente preferibile alla guerra”.

“Gli abusi del potere generano le rivoluzioni;
le rivoluzioni sono peggio di qualsiasi abuso.
La prima frase va detta ai sovrani, la seconda ai popoli.”

[Klemens von Metternich]

Traduzione dell’intervento di Romano Prodi al Congresso di Vienna del 22 ottobre 2015
The original speech, in english, is available here.

 

Il Congresso di Vienna 1815: lezioni dalla storia

Per comprendere il contesto sociale e politico in cui il Congresso ebbe luogo, è utile ricordare il numero di vittime durante le guerre napoleoniche. La Francia perse circa 1,3 milioni di persone ed altrettante persone rimasero ferite. Cito questi dati perchè la Francia era l’unico paese con statistiche e numeri affidabili. Considerando che la Francia a quel tempo aveva una popolazione di circa 30 milioni di persone e che le perdite riguardarono prevalentemente la popolazione maschile, possiamo affermare che la guerra fu una tragedia incredibile per la Francia, ma anche per paesi europei come la Germania e la Russia, che subirono perdite ancora più pesanti. Queste le condizioni nelle quali si trovava l’Europa all’inizio del Congresso di Vienna.

Dalle lezioni di storia a scuola, fin dalle elementari, abbiamo appreso che il Congresso di Vienna fu il punto di partenza della Restaurazione europea dopo le trasformazioni radicali causate dalla Rivoluzione francese e dalle guerre napoleoniche. Questa lettura della storia è ovviamente corretta.

Incontri internazionali come quello a cui stiamo partecipando oggi sono utili non solo se consideriamo di analizzare quei giorni lontani come un tentativo conservatore di ristabilire un vecchio sistema politico, ma come le radici degli eventi che stavano per riplasmare l’Europa. Certamente, il Vecchio Continente si ritrovò all’inizio di una nuova era.

La questione non fu semplicemente la creazione di un nuovo equilibrio di potere.
Gli uomini di Stato del Congresso dovettero affrontare nuove realtà soprattutto di carattere politico e culturale, piuttosto che di carattere meramente militare o diplomatico.

Nel suo testo classico “A World Restored“, Kissinger fece una distinzione fondamentale tra ordini internazionali, considerandoli legittimi o meno a seconda dell’esistenza di un “codice di condotta comune” tra le nazioni.

Kissinger aggiunse che, mentre la politica internazionale è spesso descritta come un sistema determinato da elementi di potere fisici e materiali, assume notevole rilevanza anche il ruolo svolto da elementi intangibili come il senso di un “obiettivo comune”.

In particolare, Kissinger dichiarò che l’ordine del Concerto dell’Europa si basava non solo sul un equilibrio di potere, ma soprattutto su un senso di “valori condivisi” tra gli Stati europei. Quando quel “codice di condotta comune” svanì, il sistema del Congresso smise di funzionare.

In effetti la storia del Concerto europeo, come disse Kissinger, fu una storia di successo ma anche di fallimento. Il sistema del Congresso infatti non fu in grado di contenere il nazionalismo -nonostante fosse stato organizzato per questo-la cui progressiva affermazione stava cambiando la mappa politica dell’Europa del diciannovesimo secolo e quella del mondo nel ventesimo. In questo nuovo panorama il principio dinastico fu sostituito dall’idea dello Stato nazionale che, a poco a poco, cominciò a dominare la scena politica europea.

Negli anni successivi al Congresso di Vienna, le grandi potenze europee sembrarono consolidare i loro imperi e la loro influenza, ma in realtà iniziò un nuovo conflitto. Tale conflitto fu inizialmente formato da tante piccole guerre in tutta Europa avvenute in tempi diversi, che contribuirono al trionfo della nazione ed, in seguito, alla fine dei vecchi imperi continentali.

Come riporta una celebre frase di Metternich, il nazionalismo riuscì, per esempio, a trasformare la penisola italiana, da una “espressione geografica” ad uno Stato.
Nei decenni successivi, la nascita di altri Stati-nazione come la Germania, la Romania, la Serbia, il Montenegro, la Bulgaria e l’Albania, mise a repentaglio il sistema creato dal Congresso di Vienna e condusse alla tragedia della prima guerra mondiale.
In questo modo, il precedente “codice di condotta comune” fu definitivamente sepolto.

Seguendo la logica di Kissinger, si può affermare che anche il disordine internazionale attuale è il risultato di una mancanza di “un codice di condotta comune”.

Nel teatro europeo di 200 anni fa, un aspetto di questo “codice di condotta comune” fu la religione rappresentata dalla Santa Alleanza: un’alleanza tra il trono e l’altare, considerata uno strumento necessario per limitare i movimenti rivoluzionari in tutta Europa.

Ora, dopo la fine della guerra fredda, non abbiamo bisogno di una “santa alleanza”, ma piuttosto di una “grande alleanza“, capace di creare nuovi sistemi di cooperazione e dialogo tra le grandi potenze come fu tentato a Vienna tra gli Stati europei.

Se si vuole aggiornare la parola “santa” nel contesto contemporaneo, dobbiamo ricordare che le religioni possono avere ancora un ruolo significativo nel mondo, ma intendendo “religioni” al plurale, e non solo il Cristianesimo come è stato per l’Europa negli ultimi due secoli. Ancora oggi le religioni possono e devono offrire un grande contributo per il futuro dell’umanità, rifiutando la violenza come strumento politico (cosa che non avvenne nel 1815) e mantenendo una distanza fra il trono e l’altare.

Esiste oggi un codice di condotta comune?

A questa domanda non è facile dare una risposta. Infatti, esaminando il mondo di oggi, possiamo osservare una situazione molto particolare. Se da un lato vi è una convergenza globale nel settore economico (l’economia di mercato è prevalente ovunque) e ci sono molti interessi comuni e collaborazione quotidiana, dall’altro paesi come la Cina, la Russia e gli Stati Uniti non condividono una cultura politica comune.

Difficoltà a risolvere crisi relativamente piccole come in Libia, Siria, e l’Ucraina possono derivare non solo da interessi contrapposti, ma anche dal fatto che le grandi potenze divergono su questioni di base riguardanti il ruolo delle istituzioni politiche nazionali, la promozione della democrazia all’estero, i diritti umani, e molti altri valori che stanno alla base della nostra società.

Sebbene l’assenza di una cultura politica comune, come Kissinger giustamente sostenne, è certamente un problema per la costruzione di un ordine mondiale legittimo, ma non si pone come un ostacolo insormontabile alla sua realizzazione. C’è ancora un ruolo per la diplomazia.

Prendiamo l’esempio del recente trattato sul programma nucleare iraniano. Malgrado nessuno sia in grado di dire se l’accordo contribuirà a stabilizzare la regione, il trattato segna un nuovo inizio per le relazioni americano-iraniane in una zona molto importante, dopo più di 35 anni di chiusura diplomatica.

Grazie ad un grande sforzo diplomatico da entrambe le parti, le paure relative al programma nucleare iraniano sono state affrontate e superate in modo costruttivo. Nessuno sa se l’accordo avrà un lieto fine stabile, ma la diplomazia è stata la chiave per preparare una soluzione della tensione tra l’Iran e la comunità internazionale. E credo, più in generale, che la possibilità di costruire un nuovo ordine mondiale legittimo possa essere facilitato dalla ripresa della diplomazia come strumento di politica estera.

Una condizione necessaria per rilanciare la diplomazia è una disponibilità al compromesso che aiuti a capire il punto di vista di altre nazioni, in particolare di quei paesi che sono considerati come rivali strategici.

In altre parole, gli Stati Uniti dovrebbero riconoscere i valori, gli interessi legittimi e le preoccupazioni sulla sicurezza di Cina e Russia.
Dall’altra parte, Pechino e Mosca dovrebbero riconoscere i legittimi interessi degli Stati Uniti e dell’Europa e, a seguire, l’importanza dei valori liberali che sono alla base delle nostre società.

Nel suo ultimo libro “Ordine Mondiale“, Kissinger identifica tra le principali carenze dell’attuale ordine internazionale il fatto che le grandi potenze non dispongano di un meccanismo efficace per consultarsi ed eventualmente cooperare.

Indubbiamente i risultati dell’attività di molte istituzioni multilaterali come il G8 e il G20 sono deludenti e spesso costituiscono una mera dichiarazione di intenti, con poche conseguenze pratiche reali. Questa è la ragione per cui io credo che un metodo potenziale di governance globale potrebbe derivare da un “rapporto quadrangolare” tra Cina, Unione Europea, Russia e Stati Uniti.

Anche se non dobbiamo dimenticare il ruolo molto importante svolto dai paesi conosciuti come BRIC, penso che un regime cooperativo sulla base di una sorta di governance quadrangolare sia uno strumento praticabile (anche se temporaneo) per raccogliere sotto un’unica “politica ombrello” le diverse questioni connesse.
In altre parole, abbiamo bisogno di un grande Concerto tra i principali attori mondiali nell’affrontare le sfide di oggi: in Europa centrale (soprattutto in Ucraina), nel Medio Oriente, e in Asia. E l’elenco non è certamente esaustivo.
Questo avvenne nel 1648 con la pace di Westfalia, nel 1815 a Vienna e, in parte, nel 1945 a San Francisco, come Kissinger descrive nel suo “Ordine Mondiale”.

Tuttavia sembra che ci si stia muovendo in una direzione opposta: verso nuovi scontri che potrebbero inasprire le crisi esistenti.

Diversi obiettivi e diverse strategie prevalgono: obiettivi e strategie che non tengono in debito conto il cambiamento del peso politico ed economico delle potenze emergenti.

La Cina sta scommettendo sulla sua crescita economica e sulla possibilità di raggiungere nei prossimi anni i livelli tecnologici e militari degli Stati Uniti. Oggi, infatti, la Cina non vuole modificare le regole del gioco. Pechino pensa che il tempo sia dalla sua parte ed i leader cinesi credono che saranno in grado di influenzare maggiormente l’agenda internazionale in futuro, quando la Cina sarà più forte.

Non a caso infatti la Cina sta creando proprie istituzioni, come la Banca Asiatica d’Investimento per le Infrastrutture, e sta massicciamente investendo in nuove rotte logistiche come ad esempio la nuova via della seta.

Comprensibilmente, gli Stati Uniti si considerano ancora una potenza dominante in molti campi. Nonostante una relativa perdita di peso economico e di influenza, gli Stati Uniti sono ancora in una buona posizione nel mondo e non vogliono cambiare l’equilibrio all’interno di istituzioni internazionali come le Nazioni Unite, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale.

La Russia sta basandosi invece sia sulla capacità personale del presidente Putin che sulla nota tradizione russa di resistere a qualsiasi sfida straniera.
L’Europa è troppo frammentata e divisa per essere considerata una dei quattro pilastri del sistema internazionale. L’Europa è una strana combinazione di forza e di debolezza: si tratta di uno dei più grandi attori economici del mondo, ma rimane ancora un “nano politico”.

Oppure, per usare una metafora diversa, l’Europa è un “gigante con i piedi d’argilla”, che non si muove perché ha troppa paura di crollare.
L’Europa ha deciso di non esistere politicamente nel mondo o, peggio ancora, sembra non trovare una ragione di esistere.

Lo stato attuale dell’Unione è particolarmente deludente perché fino a pochi anni fa l’Unione Europea non era solo una istituzione, ma rappresentava un ideale di democrazia e solidarietà.

Nel celebrare l’anniversario del Congresso di Vienna, dovremmo riconoscere e sottolineare la contraddizione europea. L’Unione Europea, nata al fine di superare le tragiche conseguenze di un nazionalismo esasperato sta diventando sempre più succube dei suoi Stati membri.

L’Unione Europa è nata per creare una collaborazione via via più stretta tra i suoi diversi paesi, non basata sulla forza dei singoli Stati, ma sul principio della parità di cooperazione.
Per quasi due generazioni, questo sforzo è ampiamente riuscito, nonostante gli alti e i bassi, che rappresentano però aspetti inevitabili del processo storico.

L’integrazione tra i paesi europei si è materializzata non solo nella costruzione graduale di un mercato comune, ma anche nella libera circolazione di merci e persone, fino alla creazione della moneta unica.

Ricordiamoci che i due principali pilastri dello stato moderno sono l’esercito e la moneta.

La nascita di un esercito comune (CED), simbolo della nuova Europa, fu proposta dopo la tragedia della seconda guerra mondiale e venne rifiutata dall’Assemblea francese nel 1954, ma dopo quasi mezzo secolo la creazione di una moneta unica ci indicava che stava avvenendo una trasformazione verso un moderno stato nazionale.

Questo progetto nuovo e coraggioso è stato accompagnato da un altro successo storico: l’apertura dell’Unione agli altri paesi precedentemente appartenenti all’Europa Occidentale ed anche agli ex membri del Patto di Varsavia.

Per molte ragioni, è stato un grande successo: l’unico caso nella storia di una massiccia “esportazione della democrazia” all’estero attraverso strumenti di pace e democrazia.

Nessuno come i cittadini di Vienna può testimoniare il significato e l’importanza dell’allargamento della UE.
Questo processo di “crescita democratica” è stato generato e accompagnato dalla progressiva crescita dei due principali organismi sovranazionali europei: la Commissione Europea e il Parlamento Europeo.

Tuttavia, negli ultimi anni, soprattutto dall’inizio della crisi economica, si è presa una direzione opposta attraverso un ritorno agli Stati nazionali, con conseguente passaggio di potere dalla Commissione Europea agli Stati membri e con la costruzione di un struttura piramidale tra le nazioni europee.

La Banca Centrale Europea è ormai diventata il più importante organo sovranazionale dell’Unione, e dobbiamo essere veramente grati a questo organo per aver conservato nella sua politica monetaria una prospettiva europea anche nei momenti più difficili. Tuttavia, è chiaro che le sue azioni non possono sostituire il ruolo degli organi democratici deputati a costruire e gestire l’Unione.

Perdonatemi se ho dato troppa attenzione all’esperimento europeo, ma le mie considerazioni vogliono sottolineare che, senza una rinnovata unità, gli stati europei non potranno giocare alcun ruolo significativo nella politica mondiale, quando solamente due secoli fa si trovarono ad essere gli unici giocatori reali.
Lasciando ora da parte l’Europa, concludo affermando che anche le altre tre grandi potenze (Cina, Russia, e Stati Uniti) sono molto lontane dall’aver costruito quello che Kissinger definì “un meccanismo efficace per consultarsi ed, eventualmente, cooperare sui problemi più significativi”.

Al momento tale meccanismo non esiste neppure in quell’area in cui tutte le grandi potenze hanno un interesse comune e condiviso, come ad esempio la lotta al terrorismo internazionale. Il terrorismo rappresenta una minaccia per tutte le principali potenze, ma risulta evidente che solo un’azione veramente globale potrà sconfiggere il pericolo rappresentato dalle organizzazioni terroristiche.

Se risulta così difficile trovare una politica collettiva rispetto ad un problema il cui “comune interesse” è così chiaro e definito, sarà ancora più difficile trovare un accordo su come affrontare altre grandi sfide quali il problema immigrazione, la riduzione della povertà nei paesi sottosviluppati e le crescenti disparità che persistono in tutti i paesi del mondo. In realtà, non siamo di fronte solo ad un disordine politico globale, ma anche ad una serie di disordini sociali ed economici.
Si dovrebbe aprire un altro capitolo, un capitolo che segni una differenza rispetto al libro di Kissinger circa i problemi di Vienna e i problemi attuali.

La sovranità non è più limitata dai confini geografici delle nazioni. La sovranità oggi è più diffusa e nascosta. Esistono nuovi attori nel mondo: nuove tecnologie, nuove realtà finanziarie senza limiti, nuove reti che viaggiano incontrollate su tutto il nostro pianeta.

Nuove reti invisibili plasmano il mondo in direzioni che nessuno è in grado di controllare. In funzione di questo gli Stati Uniti, la Russia, la Cina e, si spera, l’Europa dovrebbero definire e realizzare un rinnovato “codice di condotta comune”, necessario per progettare soluzioni innovative in grado di affrontare le nuove grandi sfide che ci aspettano.

Da questo punto di vista, le grandi potenze hanno una serie di compiti da svolgere molto impegnativi.

Abbiamo bisogno di una forte riforma del sistema delle Nazioni Unite che lo possa dotare degli strumenti e degli investimenti adeguati per l’attuazione delle decisioni adottate. La creazione di una forza permanente militare, come proposto nel 1945, non è un progetto facile da sviluppare, ma -lo ripeto- abbiamo bisogno di strumenti adeguati per attuare le decisioni delle Nazioni Unite.

Capisco che ci sia un alto livello di utopia in queste proposte, utopia che appare anche maggiore oggi, giorno in cui celebriamo il Congresso di Vienna che fu espressione di un vero pragmatismo politico.  Ed è a maggior ragione un’utopia dopo aver discusso quanto sia difficile superare l’interesse nazionale, anche quando uno Stato è membro di un patto condiviso, come nel caso dell’Unione Europea.
Tuttavia è arrivato il momento di pensare a qualche azione coraggiosa al fine di salvare il futuro della nostra amata umanità.

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