La crisi tunisina: l’Europa perde influenza politica a Sud del Mediterraneo

Popoli in fuga: la partita che l’Europa sta perdendo in Tunisia

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 1 agosto 2021

La crisi tunisina lascia le opinioni pubbliche occidentali disorientate. Prima di tutto perché mette seriamente in discussione (o addirittura pone fine) all’unica concreta evoluzione democratica della primavera araba. In secondo luogo perché segna la definitiva decadenza dell’influenza europea nel Sud del Mediterraneo.

Tutto questo apre ovviamente nuovi punti interrogativi sulle eventuali conseguenze dirette nei confronti della vicina Italia, data la terribile presenza del Covid e i nuovi allarmi riguardo a una possibile emigrazione di massa verso le nostre coste, anche se questo pericolo è più originato dal livello di povertà e di disoccupazione che non dalle recenti evoluzioni politiche.

Iniziamo le nostre osservazioni sul primo dei due punti. La Tunisia, dopo le grandi manifestazioni popolari contro il regime autoritario, aveva oggettivamente compiuto uno sforzo reale verso il passaggio ad un sistema democratico.

Si era arrivati a una serie di faticosi compromessi tra le varie forze politiche e tra le stesse forze politiche e l’esercito, mentre lo storico leader del partito islamico Ennahada (cioè Rashid Ghannouchi defenestrato il 25 luglio dal Presidente della Repubblica Saïed) aveva costantemente dimostrato di possedere un personale equilibrio e una notevole moderazione, mettendo in secondo piano l’ingombrante estremismo dell’Alleanza Mussulmana.

Tutti questi passi in avanti non sono stati sufficienti per costruire una stabile democrazia: le divisioni socio-economiche si sono fatte sempre più forti e le fragili coalizioni di governo sono state progressivamente messe in crisi da corruzione ed inefficienza.

È diventato quindi sempre più evidente come sia difficile portare avanti la costruzione di un moderatismo islamico quando le influenze radicali sono tanto forti.

In Tunisia, mentre si tentava di costruire la democrazia nel paese arabo che più ad essa si era avvicinata, oltre ottomila giovani si sono arruolati nelle truppe terroristiche dell’Isis.

Non si è trattato purtroppo di un episodio isolato, ma di qualcosa che nasce dal profondo della società tunisina.

Tutti questi eventi, aggiunti alla drammatica crisi economica e all’espansione del virus, che sta portando alla morte duecento persone al giorno in un paese di soli dodici milioni di abitanti, hanno spinto la maggioranza della popolazione a schierarsi in favore della svolta autoritaria impressa dal Presidente della Repubblica.

Tutto questo porta a prendere atto che, nell’attuale fase storica del mondo islamico, non esiste ancora una concreta alternativa (come noi europei abbiamo sempre sperato) fra democrazia ed estremismo, ma solo fra l’estremismo e un governo autoritario, anche se esso si può manifestare con diversi livelli di durezza e di oppressione.

Possiamo quindi solo sperare che la probabile evoluzione autoritaria della Tunisia sia moderata dalla figura  del Presidente Saïed, finora sostenuta da una storia personale non coinvolta in intrighi o episodi di corruzione.

Proprio su questa sua immagine, insieme alla delusione nei confronti della democrazia, Saïed ha infatti fondato il larghissimo appoggio popolare di cui oggi gode.

Dobbiamo quindi ancora una volta concludere che la modernizzazione in senso democratico del mondo islamico, che pure ha avuto inizio con la primavera araba, avrà bisogno di almeno molti decenni per affermarsi, con un processo che presenterà difficoltà non certo minori rispetto a quello avvenuto secoli fa nel mondo Cristiano.

La seconda riflessione riguarda l’irrilevanza europea (e americana) finora dimostrata nel caso tunisino. Il gioco si svolge infatti totalmente all’interno del mondo islamico.

Da un lato abbiamo l’Egitto, gli Stati del Golfo e l’Arabia Saudita che appoggiano la svolta autoritaria del Presidente Saïed e, dall’altro, la Turchia e il Quatar che, come hanno fatto ovunque, sostengono le posizioni più oltranziste dei fratelli mussulmani. La Russia, pur essendo vicino all’Egitto, non sembra in questo caso in grado di giocare un ruolo determinante.

Non solo appare irrilevante, almeno fino ad ora, la posizione italiana ma, seppure condita da una serie di dichiarazioni del mondo intellettuale, lo è altrettanto quella francese. Anche se in tante altre situazioni avrei terminato queste mie brevi riflessioni concludendo che le cose andrebbero ben diversamente se esistesse una politica estera europea comune, debbo ammettere che non è questo il caso.

Nell’Europa di oggi sarebbe sostanzialmente impossibile la scelta tra Ghaunnuchi e la politica turca e quella in favore dell’autoritarismo del Presidente Saïed, in contrasto con tutte le nostre prese di posizione a sostegno della democrazia parlamentare.

Ritengo perciò che quanto sta avvenendo in Tunisia non sia importante solo per gli avvenimenti che accadono al suo interno, ma per il modo con cui si sta concretizzando l’evoluzione autoritaria del paese.

Il fatto che la partita si stia giocando esclusivamente nell’ambito del mondo islamico, è la dimostrazione del fatto che noi europei stiamo definitivamente perdendo ogni influenza politica sulla sponda sud del Mediterraneo.

Questo non certo in conseguenza di una sua evoluzione democratica, ma per una crescente affermazione dell’islamismo, a dispetto di tutte le sue profonde divisioni interne.

Sembra che l’opinione pubblica e i governi europei non siano particolarmente preoccupati di questi eventi, anche perché l’evoluzione politica tunisina non appare mettere in ogni caso a rischio i nostri interessi economici che, probabilmente, proseguiranno con le dimensioni e i limiti di oggi.

Tutto questo almeno per il futuro prossimo perché sappiamo bene che tutti i rapporti economici sono prima o poi influenzati dall’evoluzione delle vicende politiche.

 

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
agosto 1, 2021
Articoli, Italia