Al voto per rendere possibile una grande svolta nella politica europea

Obiettivo crescita. L’ultima chiamata per cambiare questa Ue

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 25 maggio 2014

Andando a votare non possiamo fare a meno di riflettere sul fatto che gli ultimi anni sono stati i peggiori di tutta la storia dell’Unione Europea. Le politiche di austerità, l’aumento dei disoccupati, i problemi dei debiti sovrani e la fragilità dei sistemi bancari hanno fatto crollare la fiducia dei cittadini e moltiplicato il numero degli euroscettici.

Sarebbe certamente stolto negare gli errori della politica europea perché i risultati di questi errori sono di fronte ai nostri occhi. Tuttavia, più riflettiamo su di essi e sulle loro conseguenze, più ci accorgiamo che tali errori sono dovuti non alla politica europea ma alla mancanza di una politica europea.

Gli organismi comunitari, a partire dalla Commissione, si sono infatti inchinati di fronte agli stati nazionali e il dialogo fra gli stati è diventato un monologo, nel quale la Germania ha dettato regole e comportamenti, di fronte agli altri interlocutori costantemente muti e incapaci di proporre politiche alternative.

Mentre gli Stati Uniti e la Cina hanno arginato la grande crisi aiutando la produzione e la domanda, i paesi europei hanno percorso il cammino opposto, limitando il potere d’acquisto e deprimendo le strutture produttive.

Questi errori hanno fatto dell’Europa il malato del mondo, contribuendo a cancellare dalla mente e dal cuore di molti cittadini i grandi meriti dell’Unione Europea non solo nel garantire un periodo di pace e di prosperità senza precedenti ma anche grandi progressi nel campo dei diritti civili, della protezione dell’ambiente e della sicurezza. I singoli stati non sarebbero mai stati in grado di garantirli e, soprattutto, non saranno in grado di garantirli nel futuro, di fronte a giganti che, approfittando delle nostre debolezze, dettano le regole della politica e dell’economia mondiale.

I movimenti euroscettici, invece di condannare le politiche sbagliate di questi ultimi anni, si sono dedicati a mettere sotto accusa l’esistenza stessa dell’Unione. Sarebbe come se gli elettori francesi o italiani volessero punire gli errori dei loro governi contestando la legittimità delle proprie istituzioni nazionali.

Se vogliamo vincere la battaglia del futuro dobbiamo camminare in direzione opposta, rafforzando le istituzioni comunitarie e preparando progetti di crescita. Anche se qualche correzione di rotta è possibile, non pensiamo che la Germania cambi radicalmente la direzione di una politica che l’ha portata al comando di quella che è ancora la struttura produttiva più grande del mondo. Pur con tutti i suoi limiti, l’Unione Europea è infatti il numero uno nel PIL mondiale, il numero uno nella produzione industriale mondiale ed ancora il numero uno nelle esportazioni.

Andiamo quindi a votare per favorire un cambiamento che metta sul tavolo europeo i diritti dei paesi che più sono stati emarginati dalle politiche degli anni passati. Facciamo proposte concrete di investimenti e di innovazioni.

Si parta da un progetto energetico continentale che leghi fra di loro gasdotti, oleodotti e linee elettriche. Si proceda al completamento di un sistema di trasporti integrato. Si costruisca un piano di ricerca capace di riportare l’Europa alla guida dei cambiamenti futuri del mondo. E si proceda a costruire gli strumenti collettivi necessari, a partire dalla progressiva mutualizzazione dei debiti attraverso gli Eurobond.

Di tutto ciò si è parlato ben poco nella campagna elettorale ma questa è l’unica strada percorribile per crescere con un ritmo tale da iniziare finalmente la lotta contro la disoccupazione. Non illudiamoci infatti che i fragili e contraddittori segni di ripresa che abbiamo oggi siano sufficienti per uscire dalla crisi quando perfino la Banca Centrale Europea è costretta a metterci in guardia di fronte ai rischi di deflazione.

Sarà tuttavia bene che gli italiani non si illudano di raggiungere questi obiettivi lavorando in solitudine. Le forze riformiste di Italia, Francia, Spagna e dei tanti altri paesi che hanno gli stessi problemi debbono cominciare a lavorare insieme a Bruxelles e nelle rispettive capitali per preparare i comuni progetti per la ripresa. Il vertice di autunno, che sarà il vero e unico grande obiettivo del semestre italiano, deve essere il momento in cui si decide concretamente la svolta della politica europea. Esso va preparato fin da ora, minuziosamente e in tutti i dettagli, in modo da arrivare ad esso con un progetto forte e condiviso. Ed in quanto tale vincente.

Perché questo progetto sia davvero vincente occorre tuttavia un’altra condizione, che ad esso si arrivi avendo già attuato le necessarie riforme interne. Altrimenti non saremo credibili anche presentando i migliori progetti del mondo.

Non è quindi tempo di antipolitica ma di ritorno alla grande politica, sperando che il governo abbia la forza, la durata e la lungimiranza per metterla in atto e che gli elettori, con il loro voto, la rendano possibile.

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