L’unanimità che blocca le scelte dell’Europa verso un mondo multipolare
L’unanimità che blocca le scelte dell’Europa
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 12 giugno 2025
Anche se l’evento è stato sostanzialmente dimenticato, è forse opportuno ricordare che, proprio vent’anni fa, il progetto di Costituzione Europea fu bocciato dal popolo francese con un referendum avvenuto il 25 maggio del 2005. La stessa sorte, pochi giorni dopo, fu confermata dal voto olandese. Eppure non si trattava di un progetto rivoluzionario, ma solo del tentativo di sistematizzare la legislazione europea dopo che, negli anni immediatamente precedenti, erano state prese decisioni di importanza determinante, come l’entrata in vigore dell’Euro e l’allargamento dell’Unione a dieci nuovi paesi, otto dei quali erano stati per lunghi anni sotto il controllo dell’Unione Sovietica.
La nuova Costituzione avrebbe dovuto segnare il passaggio da un’Unione che si fondava su accordi fra i diversi Stati verso una progressiva unità politica fondata su un unico patto costituzionale, un’unità rafforzata dall’immagine popolare di una bandiera e di un inno ufficialmente riconosciuti come simbolo di una sovranità condivisa. Il voto contrario di Francia e Olanda, come ovvia conseguenza, ha dato inizio ad una lunga fase di politica europea in cui il potere è progressivamente passato dalla Commissione al Consiglio, cioè da una istituzione che rappresenta la caratteristica sovranazionale dell’Unione ad un organismo che si fonda sulle decisioni dei singoli paesi. Il successivo trattato di Lisbona ha cercato di resuscitare le innovazioni contenute nel progetto di Costituzione ed è significativo che l’inno e la bandiera, anche se non riconosciuti ufficialmente, siano rimasti un simbolo condiviso.
Tuttavia, dopo il voto francese e olandese di venti anni fa, il cammino si è fatto sempre più tortuoso e il compromesso è divenuto il modello del governo europeo.
Non ci si deve quindi stupire che l’Unione sia diventata sempre più debole.
Nonostante gli indubbi passi in avanti compiuti in molti settori e nonostante momenti di solidarietà come nel caso del Covid, essa ha progressivamente perso ruolo e autorità nella politica mondiale, fino al punto di non essere nemmeno considerata, se non con un connotato negativo, perfino dagli Stati Uniti, paese a cui siamo sempre stati legati da una sentimento di amicizia, se non addirittura di fraternità.
Sono certamente consapevole che il compromesso, e i piccoli passi che esso permette, sia spesso un passaggio inevitabile, e quindi positivo, della vita politica. Quando però viene trasformato in dottrina permanente, il compromesso allontana il governo dal popolo e, nello stesso tempo, impedisce di interpretare i cambiamenti della storia.
Non ci si deve quindi sorprendere che, nonostante i passi in avanti compiuti in molti campi, a partire dalla difesa dei diritti dei cittadini e delle istituzioni democratiche, l’astensione degli elettori continui ad aumentare e i partiti populisti ed antieuropei dimostrino una forza crescente.
Il compromesso permanente non può infatti sostituire le scelte necessarie per decidere il nostro futuro: soprattutto quando la storia cambia direzione.
La nuova politica americana è un cambiamento epocale che esige una risposta europea su come ci poniamo di fronte alla rivoluzione che il presidente Trump ha prospettato. Questo non significa assumere una posizione di contrasto verso un paese a cui ci uniscono legami e gratitudine, ma abbiamo l’obbligo di decidere quale deve essere il ruolo europeo quando il rapporto fra gli Stati Uniti e il resto del mondo viene ridotto ad un unico confronto diretto con la Cina, non riconoscendo alcuno spazio a ogni altro protagonista, Europa compresa. Questo in tutti i settori, da quello commerciale a quello tecnologico, da quello militare a quello politico.
E’ proprio in questi momenti di ricomposizione che si creano nuove occasioni e nuove prospettive, ma queste sono anche le situazioni nelle quali i compromessi non portano ad alcun risultato.
Noi europei non abbiamo alcun interesse ad essere schiacciati da un mondo sempre più bipolare. Anche approfittando dei grandi problemi che, al loro interno, i due giganti debbono oggi affrontare, la nostra politica deve portarci verso verso un multipolarismo che solo l’Europa, per la sua forza economica e la sua esperienza politica, può contribuire a costruire. La scomposizione e la ricomposizione del mondo sono già in atto e noi europei siamo chiamati a giocare le nostre carte.
Questo, non solo nel tavolo con gli Stati Uniti, dove il confronto è già cominciato anche se in modo confuso e imprevedibile, ma anche nel summit con il governo cinese che si terrà nel prossimo mese di luglio. In questo quadro giocare di rimessa e contare solo sul compromesso è una scelta perdente.
Abbiamo quindi l’obbligo di elaborare una nostra strategia che conduca ad una collaborazione sempre più ampia con Stati Uniti e Cina, ma che si fondi su una chiara definizione dei nostri obiettivi e dei nostri interessi. Su questo non vedo però la necessaria determinazione.
La riflessione sulle conseguenze dell’arresto del processo costituzionale di vent’anni fa ci obbliga invece a tracciare con urgenza il cammino che l’Europa deve compiere per contribuire alla costruzione del mondo multipolare, nel quale abbiamo oggi la possibilità di riprendere il ruolo che abbiamo progressivamente perduto.
Se questo cammino lo possiamo compiere con volontà unanime di tutti i paesi è certo un bene ma, dato che è questione di vita e di morte, lo dobbiamo percorrere anche decidendo a maggioranza e non con l’unanimità come abbiamo fatto con l’Euro. Quando si tratta di vita o di morte, il compromesso non è infatti una scelta possibile.