Cina, India, Russia e non solo: perché l’Europa deve guardare anche a Est

Perché la Ue deve guardare anche a Est

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 04 settembre 2025

Non è una sorpresa constatare che, quando c’è un vuoto, qualcuno lo riempie. Ed è doveroso prendere atto che il vuoto che gli Stati Uniti di Trump stanno lasciando nella politica mondiale ha superato ogni immaginazione. Con le tariffe doganali hanno irritato tutti. Il ritiro dall’Unesco e dalla Organizzazione mondiale della Sanità e dagli altri strumenti di cooperazione ha umiliato le organizzazioni internazionali. La cancellazione degli aiuti all’estero ha alienato i paesi in via di sviluppo.

Non poteva esservi circostanza migliore perché il vertice della Sco, cioè dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, avesse una rilevanza e un successo come mai prima.

Quest’associazione, che passava quasi inosservata, ha radunato i leader di 26 paesi che rappresentano oltre il 40% della popolazione mondiale. Con al centro della scena la Cina e l’India, che da sole contano due miliardi e ottocento milioni di abitanti, si sono seduti i rappresentanti di Russia, Egitto, Turchia, Pakistan, Indonesia: dall’Asia al Caucaso, fino al Medio Oriente e persino un paio di paesi europei.

Il leader cinese Xi Jinping ha chiamato tutti a raccolta per sfidare l’Occidente e lo ha fatto con le proposte che, fino a ieri, erano proprie dell’Occidente, e cioè la creazione di un mondo multipolare fondato sul libero commercio e su istituzioni capaci di legare progressivamente i partecipanti tra loro in una pacifica convivenza.

Anche se si tratta di obiettivi più proclamati che facili da raggiungere, nel vertice dello Sco si è convenuto di creare una comune Banca di Sviluppo, di cooperare nel campo dell’Intelligenza Artificiale, nella costruzione di un comune sistema satellitare e in altri grandi progetti di collaborazione tecnologica e commerciale.

A questi disegni multilaterali si sono aggiunte decisioni altrettanto importati sul piano bilaterale, come la realizzazione, dopo infinite trattative, di un nuovo gasdotto che trasporterà dalla Siberia alla Cina 50 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno, a cui si aggiungeranno contratti per altri 20 miliardi di Gas liquefatto che ora arrivano in Cina da Stati Uniti, Qatar e Australia. Per sottolineare come le cose siano cambiate, non posso dimenticare quando, non molti anni fa, Putin dichiarava che non avrebbe mai venduto un metro cubo di gas alla Cina. E così è stato per tanti anni.

Con la politica di Trump si è rovesciato il mondo persino nei rapporti fra i due più popolosi paesi del pianeta: Cina ed India avevano sempre avuto fra di loro maggiori motivi di tensione che di collaborazione, ma i dazi fino al 50% imposti all’India dagli Stati Uniti hanno obbligato Narendra Modi a recarsi a Pechino per stringere la mano a Xi Jinping. Non si tratta certo di fratellanza, ma di un significativo processo di riavvicinamento.

Il risultato è che il mondo, ancora più che nel periodo della guerra fredda, si trova diviso in due. Gli Stati Uniti da un lato e i paesi dello Sco dall’altro arrivano ad avere, ciascuno, intorno al 25% del PIL mondiale, ma i nuovi protagonisti crescono più in fretta.

Chissà che cosa direbbe oggi Kissinger, che vedeva con angoscia l’avvenuto riavvicinamento fra Russia e Cina, nel constatare che a questo connubio, che mette a rischio il primato americano, si sta avvicinando anche l’India!

L’Europa, con il suo 17% del PIL mondiale, si trova in mezzo ai due blocchi contrapposti e commercia intensamente con entrambi. Con un attivo, se correttamente misurato, complessivamente modesto con gli Stati Uniti e un passivo molto consistente con i paesi Sco. Se contiamo non solo i beni ma anche i servizi, il deficit americano ammonta infatti a poco più del 3% dell’enorme interscambio con l’Europa. Con lo Sco i nostri rapporti economici, seppure ancora minori rispetto a quelli con gli Stati Uniti, sono però crescenti e destinati ad aumentare.

Il pesante deficit europeo è dovuto soprattutto al commercio con la Cina. Con Xi Jinping, salvo il breve tentativo di accordo tentato nel 2020 dalla Merkel con il CAI (Comprehensive Agreement on Investments) e subito bloccato dall’arrivo della presidenza di Biden, non si è mai impostato un negoziato con la complessità e la concretezza necessarie per raggiungere un accordo equilibrato.

Di fronte a questa nuova realtà l’Europa, anche per la totale mancanza di risorse naturali, ha assoluta necessità di guardare sia a Est che a Ovest, operando per una indispensabile apertura dei mercati, ma avendo come obiettivo l’equilibrio dei propri conti con l’esterno.

Un obiettivo che esige una triplice azione. In primo luogo una politica industriale veramente europea e proiettata verso l’innovazione, di cui ora non si vede traccia. In secondo luogo un’unità d’azione sia verso ovest che verso est.

Non facile in un periodo in cui, sotto l’aspetto economico, gli Stati Uniti da fratelli sono diventati quasi nemici e la Cina, anche se non è mai stata nemica, non può oggi essere classificata come sorella.

Nei confronti degli Stati Uniti basta ribadire, con la determinazione che fino ad ora è mancata, che non esistono solo le merci, ma anche i servizi e che le tasse debbono essere pagate dove viene prodotta la ricchezza.

In terzo luogo, rispetto ai rapporti con la Cina, l’Unione Europea deve semplicemente decidere cosa fare da grande. Nel recente vertice di Pechino le differenze tra le posizioni dei diversi paesi europei hanno impedito di presentarci con una strategia chiara e con obiettivi di lungo periodo. Per essere più espliciti ci si è limitati a parlare di pochi aspetti non controversi, rendendo sostanzialmente inutile l’incontro, simbolicamente accorciato persino nella sua durata.

Eppure con questo nuovo mondo dovremo trattare con forza, apertura, intelligenza e unità. Se non decidiamo cosa faremo da grandi, non diventeremo mai grandi.

 

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Dati dell'intervento

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Categoria
settembre 4, 2025
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