Ricostruire l’unità dell’Europa per tornare protagonisti

Romano Prodi: l’Europa deve tornare centrale

Articolo di Romano Prodi su La Repubblica del 9 novembre 2021

L’ex presidente della Commissione racconta la storia del Vecchio continente in un libro di immagini. Dalla ricostruzione del dopoguerra alle speranze di oggi

Vi sono buone ragioni per cui l’Europa è stata per tanti secoli al centro del mondo. Vi sono buone ragioni per cui l’Europa non è più al centro del mondo. Ma vi sono anche buone ragioni per cui l’Europa può ritornare a essere l’Europa, centro del mondo. Le fotografie, e i commenti che le accompagnano in queste pagine, vogliono guidarci in un cammino che parte da una breve riflessione sul lontano passato, non per riprodurne la storia, ma solo per farci capire quanto sia importante fare crescere un nuovo vigoroso albero europeo. Possiamo essere divisi fra di noi su molti argomenti, possiamo ancora difendere tanti interessi diversi ma, voltandoci indietro, dobbiamo convenire che, nella storia europea, le similitudini prevalgono sulle differenze e i valori comuni sono ancora più forti delle pur robuste divergenze. Non ho mai avuto simpatia per la riesumazione dell’antico mito di Europa e per l’abusata immagine bovina di questa mitologia, ma è tuttavia certo che le nostre radici si fondano prima nel mondo greco-romano e, successivamente, nel cristianesimo, diffuso in tutto il continente dopo la caduta dell’impero di Roma.

È doveroso riflettere su come questi valori unificanti fossero così forti da resistere e prevalere su tutte le invasioni che, con ondate ripetute, arrivavano a noi dal vicino e dal meno vicino Oriente. Ed è ancora più importante riflettere sul fatto che questi valori sono stati fatti propri da tutti i giovani popoli che, spesso più forti e vigorosi di noi, conquistavano con le armi le nostre terre.

È stata la robustezza di queste nostre radici a permettere la nascita delle grandi università che hanno fatta propria l’eredità ricevuta e l’hanno trasformata in un patrimonio comune. Anche nei secoli più bui lo scambio di conoscenze e il reciproco arricchimento culturale e spirituale non si sono mai interrotti e hanno potuto mantenere comuni punti di riferimento viaggiando sulle spalle dei monaci, dei commercianti, dei professori e degli studenti.

Uno scambio di conoscenze che si è progressivamente trasformato in un primato intellettuale e scientifico e, nello stesso tempo, ha costruito un’identità che possiamo davvero chiamare europea. Il risultato di questo lungo e progressivo processo di integrazione è che le grandi innovazioni nella cultura, nella filosofia, nell’arte e nella scienza, a partire dall’Alto Medioevo fino sostanzialmente a un secolo fa, sono state principalmente europee. Non solo nel campo della pittura, l’architettura, la letteratura, la filosofia e la musica, ma anche nella medicina, la matematica, la fisica, nelle scienze naturali e, quindi, nell’economia e nella finanza.

A tutto questo si deve aggiungere il grande contributo alla costruzione delle regole sulle quali si fonda lo Stato moderno, percorrendo in primo luogo il difficile cammino verso la separazione fra lo Stato e la Chiesa, fra l’autorità temporale e l’autorità spirituale, ognuna forte di una propria autonomia, ma con la consapevolezza di dovere convivere nella stessa comunità, pur nella diversità dei ruoli. Non è certo un caso che nelle immagini di tutte le grandi città europee troviamo sempre tra di loro affiancati il palazzo del potere temporale e la cattedrale. Le comuni radici e la loro continua elaborazione portata avanti dai contributi provenienti da tutti i Paesi hanno permesso all’Europa di mantenersi per tanti secoli alla guida del mondo, con un continuo rinnovamento che, partendo dal Medioevo, ha prodotto il Rinascimento e l’Illuminismo.

Una cultura e un primato europeo comune, anche se la fiaccola di questo primato si è trasferita nel tempo da Paese a Paese, dall’Italia alla Spagna, dai Paesi Bassi alla Francia, dalla Gran Bretagna alla Germania. Il tutto per un lungo spazio di secoli nei quali, proprio perché dominanti, gli europei non solo hanno gareggiato fra di loro nelle arti e nella scienza, ma si sono combattuti con guerre feroci, nella convinzione che chi predominava in Europa esercitava il potere su tutte le terre dove non tramontava mai il sole. Da qui l’ascesa dei nazionalismi e, accanto a questi, delle guerre coloniali come nuovo strumento per prevalere nella grande sfida europea.

Tutto questo è andato avanti fino al tempo in cui il sole ha cominciato a splendere anche oltre i nostri confini: la Prima guerra mondiale ha segnato l’impetuosa alba del sole americano e la Seconda il rovinoso tramonto dell’Europa. I nostri conflitti interni sono stati così spietati e, soprattutto, ci hanno resi così ciechi da non farci comprendere che, come era cambiato il mondo, così doveva cambiare il rapporto tra i Paesi europei. Da questa tragedia è nato però un grande duplice insegnamento: che solo l’unità politica poteva garantirci la pace permettendoci di conservare le nostre radici e di recuperare un ruolo dell’Europa nel mondo.

Il primo obiettivo è stato pienamente raggiunto: da oltre 75 anni nessun conflitto armato ha insanguinato il suolo di alcuno fra i Paesi europei che cercavano fra di loro un accordo, mentre attorno a essi si sono ripetute tragedie e guerre, coinvolgendo perfino Paesi a noi vicini come le nazioni dell’ex Jugoslavia e l’Ucraina.

Sarebbe sufficiente questa semplice constatazione per mettere in giusta luce la grandezza dello sforzo compiuto in questo secondo dopoguerra per unificare l’Europa. Debbo tuttavia ammettere che il pur grande risultato di garantire a tutti i Paesi impegnati nel progetto europeo una lunga pace ha perso col tempo molta della sua forza evocativa. Quando faccio presente che mai, dalla fine dell’Impero romano, si era avuto un così lungo periodo di pace, i giovani (ma anche i meno giovani) mi guardano come se fossi un dinosauro. La pace viene ritenuta scontata, come se, per un fatto miracoloso, fossero improvvisamente scomparsi tutti i monumenti che, anche nei nostri più piccoli paesi, ci ricordano quante giovani vite siano state stroncate dalla guerra.

Conservare la pace è di per se stesso un risultato quasi incredibile, ma questo risultato non può essere perpetuato nel mondo di oggi se non siamo in grado di costruire l’unità dell’Europa. Tutti insieme arriviamo solo al 7% della popolazione mondiale e presto ci ridurremo al 5%, mentre il più popoloso Paese europeo riesce solo a sfiorare l’1%.

Abbiamo quindi bisogno dell’unità europea non per sostituirla agli Stati nazionali, ma semplicemente per trarre le conseguenze del fatto che le sfide di oggi sono diverse da quelle di ieri e non possono essere affrontate dalle singole nazioni europee, un tempo grandi, ma oggi troppo piccole di fronte ai nuovi protagonisti della politica mondiale.

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