Inflazione e povertà: la politica “alla giornata” della BCE

Il nodo inflazione – La Banca Centrale e la politica “alla giornata”

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 08 gennaio 2023

Gli ultimi dati sull’andamento dell’inflazione nella zona Euro stanno alimentando previsioni un po’ troppo ottimistiche sul futuro dei tassi di interesse.

E’ vero che il recente ribasso dell’inflazione ha anche un valore simbolico perché si passa dalla doppia cifra del 10,2% di novembre al 9,2% di dicembre.

Ed è altrettanto vero che questo calo si ripete per il secondo mese consecutivo, lasciando pensare che si tratti di una tendenza ad una diminuzione ormai irreversibile.

Di qui l’opinione, che si trasforma ovviamente in consiglio, che la Banca Centrale Europea debba interrompere la politica di aumento dei tassi di interesse messa in atto negli scorsi mesi.

Prima di arrivare a queste conclusioni bisogna però osservare attentamente i dati.

Si tratta infatti di un calo concentrato nei prezzi dell’energia (e seppure in misura minore dei beni alimentari), prezzi che dipendono da fattori non solo fuori controllo, ma del tutto dipendenti da uno scenario politico, se non addirittura meteorologico, sostanzialmente imprevedibile.

Altrettanto difficile da prevedere è la futura politica salariale che sarà adottata dai paesi europei in risposta ad una crescita dell’inflazione che, seppure in calo, rimane molto elevata.

Bisogna tuttavia riflettere sul fatto che il peggioramento del potere d’acquisto dei lavoratori non può durare per un periodo di tempo illimitato, come emerge con evidenza dalle tensioni sociali che si stanno moltiplicando non solo in Gran Bretagna, ma anche in Francia e in altri paesi.

L’elemento più importante è il fatto che la così detta inflazione di base (che esclude cioè energia e beni alimentari) non accenna affatto a diminuire.

Essa, oltre che dai problemi salariali, è spinta verso l’alto dal peggioramento delle politiche commerciali mondiali, dal deterioramento del clima e dall’aumento delle spese pubbliche dovute all’invecchiamento della popolazione e alle conseguenze del Covid-19.

Il quadro dell’inflazione si presenta quindi pieno di incertezze. In ogni caso, nemmeno alla fine dell’anno appena iniziato, l’inflazione base si avvicinerà al 2%, obiettivo permanente della strategia della BCE.

E’ vero che vi sono ragionevoli proposte perché questo discutibile obiettivo, nato da una decisione del Parlamento Neozelandese del 1989 e poi fatto proprio da tutti i decisori a livello mondiale, venga innalzato di uno o due punti, ma i dati statistici e le incertezze di questa fase storica spingeranno molto probabilmente la BCE a innalzare dello 0,50% il costo del denaro nella riunione del prossimo 2 febbraio e, altrettanto probabilmente, in quella del marzo successivo.

E’ vero che alla Banca Centrale Europea viene rimproverato di non rendere manifesto, come sarebbe certamente utile, un programma predefinito della propria politica monetaria, ma è tuttavia necessario ammettere che le circostanze descritte in precedenza rendono sostanzialmente obbligatorio vivere alla giornata.

In fondo, quando vi è incertezza, vivere alla giornata è meglio che sbagliare giornata, come è capitato alla stessa BCE quando non ha preso atto con la necessaria tempestività dell’arrivo dell’inflazione.

Non possiamo tuttavia pretendere che la BCE venga meno al suo dovere istituzionale di evitare che l’inflazione riprenda a crescere in modo incontrollato.

Un’ultima osservazione riguarda l’Italia dove l’inflazione base, anche se non raggiunge il picco dei paesi baltici, rimane superiore a quella dei nostri grandi paesi concorrenti.

Non solo il doppio della Francia e molto superiore alla Spagna, paesi che hanno, rispetto a noi, una più favorevole componente energetica, ma anche più alta rispetto alla Germania, paese dipendente dal gas ancora più del nostro.

Quello che più preoccupa è che gli aumenti dei nostri prezzi si concentrano soprattutto nel carrello della spesa di ogni giorno, a partire dai beni alimentari che, a dicembre, hanno raggiunto l’elevatissimo aumento del 13,8%.

Non è inutile, ancora una volta, ricordare che tutto questo incide soprattutto sulle categorie più povere, per le quali i consumi essenziali, in particolare modo i consumi alimentari, assorbono una parte molto elevata del reddito familiare.

Sono cosciente del fatto che il controllo dei prezzi sia un esercizio impossibile, ma non si può non constatare che gli aumenti dei prodotti fondamentali, a partire dal pane, stanno andando ben oltre a quanto può essere imputabile all’aumento del costo della mano d’opera, dell’energia e delle materie prime impiegate nella produzione.

Per il nostro consumatore l’unica difesa resta quella di spostarsi, quando è possibile, verso catene distributive a più basso costo o verso prodotti di qualità inferiore. E non mi sembra che questo sia un sufficiente grado di protezione per le nostre famiglie.

 

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
gennaio 8, 2023
Articoli, Italia