Export: se la Cina mette la Germania all’angolo

Se la Cina mette Berlino all’angolo

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 17 novembre 2025

Non è una novità che i progressi della Cina e le chiusure degli Stati Uniti stiano creando seri problemi all’economia europea. Siamo tuttavia obbligati a dedicare una riflessione particolare alle difficoltà nelle quali si trova l’industria tedesca, fino a poco tempo fa oggetto di esempio e ammirazione da parte del mondo intero.

Un’industria che, anche se particolarmente presente in tutti i mercati internazionali e specializzata nella produzione di beni ad elevato livello tecnologico, ha subito in modo peculiare l’ascesa quantitativa e qualitativa dell’industria cinese, anche nei settori in cui la sua primazia era indiscussa.

Il caso più noto è l’automobile, settore in cui i produttori tedeschi sono progressivamente passati da una produzione di sei a quattro milioni di vetture, cedendo alla Cina il primato nel comparto più innovativo dell’auto elettrica.

La crescita della concorrenza si è tuttavia materializzata in tutti i settori produttivi nei quali la Germania ha sempre goduto di una forza straordinaria, come la chimica e la meccanica strumentale, dove il suo ruolo di punta era ampiamente riconosciuto. Questo mutamento della concorrenza mondiale ha provocato una perdita di duecentocinquantamila addetti nell’industria nazionale rispetto al periodo immediatamente anteriore al Covid.

La crisi si è molto aggravata negli ultimi mesi nei quali, alla concorrenza cinese, si è aggiunto il dazio americano che, alla tariffa del 15%, aggiunge una tassa di ingresso del 50% sui componenti metallici contenuti nei prodotti. Nei primi nove mesi di quest’anno le esportazioni tedesche, dopo un ventennio di primato, sono crollate del 7,4%, provocando un ulteriore aumento dei licenziamenti che, nelle ultime settimane, si sono fatti particolarmente pesanti.

Tutto questo mentre le esportazioni cinesi dei beni di investimento sono aumentate in modo tale che la Germania è ora in deficit nei confronti della Cina anche nel settore che costituiva un suo riconosciuto primato.

Si può obiettare che si tratta di un quadro comune alla maggioranza dei paesi europei, a partire dalla Francia e dalla Gran Bretagna per arrivare all’Italia, ma il caso tedesco assume un aspetto quasi simbolico, data la rilevanza e la reputazione di cui la Germania ha sempre goduto.

Il governo del cancelliere Friedrich Merz, entrato in funzione dopo le elezioni dello scorso febbraio, ha reagito a questa crisi con una politica fondata su un forte aumento della spesa pubblica, indirizzata soprattutto verso un grande piano di investimenti nelle infrastrutture e un sostanziale aumento delle spese militari, peraltro programmato dal governo precedente.

L’aumento delle risorse dedicate alle infrastrutture era peraltro una notizia attesa, dato il loro progressivo degrado dopo un lungo periodo di trascuratezza. Naturale conseguenza della guerra di Ucraina e simbolicamente importante è invece l’aumento delle spese militari, anche se le analisi degli esperti non ritengono che, dal punto di vista quantitativo, possa essere uno strumento di crescita paragonabile alle spese per le infrastrutture e, tantomeno, possa sostituire il personale in uscita dal settore automobilistico.

Il Financial Times ricorda che, pur essendo sensibilmente cresciuti, gli addetti alla produzione di carri armati e veicoli ad uso militare raggiungono solo il numero di 8159, dimensione addirittura inferiore a quella degli operatori nel settore dei giocattoli.

Con questi investimenti aggiuntivi, la crescita tedesca, che quest’anno si collocherà intorno a un misero 0,4%, è prevista arrivare all’1,4% nel corso del prossimo anno. Le decisioni del governo non sono tuttavia esenti da critiche provenienti da un lato e dall’altro della coalizione. I componenti socialisti rimproverano la scarsa attenzione dedicata ai problemi del welfare, mentre una significativa parte della CDU/CSU ritiene che l’abbandono del principio costituzionale del bilancio in pareggio costituisca un pesante rischio per il futuro. Critiche incrociate rimproverano al Cancelliere l’incapacità di affrontare quelle che noi usiamo chiamare le riforme strutturali, come la riorganizzazione e la semplificazione del lavoro burocratico. A cui si aggiunge la necessità di dedicare maggiore attenzione al progresso dell’High Tech e dell’Intelligenza Artificiale e, in genere, del settore dei servizi, nei quali la Germania non gode dello stesso ruolo che ha nell’industria.

Al coro delle critiche si è ultimamente aggiunto l’autorevole Consiglio degli Esperti Economici con un severo giudizio sull’insufficienza degli investimenti necessari per la ripresa.

Un fuoco incrociato che contribuisce ad abbassare il livello di popolarità del governo e ad aumentare il favore per l’estrema destra, che già conta oltre il 25% dei membri del Parlamento. Come ha diviso i paesi europei, la profonda disparità di vedute divide il mondo economico tedesco nei confronti della politica da adottare nei rapporti con la Cina, tenendo conto della sua impressionante capacità concorrenziale, ma anche degli stretti legami costruiti in passato tra Germania e Cina. Molti imprenditori spingono il governo a seguire la politica dei dazi di Trump.

Altri sostengono la necessità di attrarre investimenti cinesi in Germania anche con imprese comuni e, altri ancora, preferiscono percorrere la strada degli accordi di compromesso. Questa permanete inquietudine non facilita certo l’azione di un governo che opera con una ristretta maggioranza parlamentare e che non trova nella Francia e nell’Italia quella naturale consonanza che aveva permesso di superare anche i momenti economici e politici più critici della storia europea. Ci auguriamo perciò che questa consonanza possa essere ricostruita all’interno della Germania, così come tra la Germania e i suoi partner europei.

 

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Dati dell'intervento

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Categoria
novembre 17, 2025
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