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Romano Prodi riceve il premio "Abolizionista dell'anno 2008"
quale riconoscimento alla personalità che più di ogni altra si è impegnata sul fronte della moratoria delle esecuzioni capitali e dell'abolizione della pena di morte

Discorso in occasione della cerimonia di consegna del premio promosso da Nessuno tocchi Caino
24 Luglio 2008
Carissimi amici,
  ho molto gradito questo riconoscimento. Vorrei però fare una precisazione. Non l'ho meritato solo io, ma anche altri, perché questo è stato un risultato collettivo, raggiunto con una continuità di impegno che io non ho mai visto nella politica italiana. Non solo da parte del governo. Un lavoro a cui tanti altri paesi hanno risposto positivamente, ma non solo paesi, anche associazioni non governative, gruppi politici con un'ampiezza di consenso che è difficile da riscontrare in situazioni analoghe. Ci sono persone che come me avrebbero meritato questo premio, penso a Massimo D'Alema, Emma Bonino o a Marco Pannella. Per me questo riconoscimento rappresenta un premio ad un gioco di squadra perfetto. Un gioco di squadra che ha coinvolto tutta la struttura diplomatica, dall'ambasciatore Spatafora all'ambasciatore Terzi che ora avrà la responsabilità di continuare il lavoro.
  Purtroppo non si tratta ancora di un cammino irreversibile. Per renderlo irreversibile bisognerà fare una lenta azione continua perché se si è raggiunto questo obiettivo lo si deve anche ad una scelta intelligente non estremista. Non abbiamo parlato di abolizione, sarebbe stato più "emotivo", ma tutto si sarebbe fermato. E' una battaglia di cuore, una battaglia di progresso dei diritti civili ma anche una battaglia di testa, perché raccogliere questa maggioranza non è stato facile, più di una volta c'era stata una delusione finale. E più d'una volta addirittura la delusione venne da una decisione di stati europei.
  Quindi una battaglia intelligente, continua, realistica, che ha avuto i suoi risultati. Ora bisogna andare avanti e affidare a Ban Ki Moon il compito di tener fede agli impegni presi.
Devo peraltro ammettere che il segretario generale dell'Onu ha lavorato in senso positivo, non solo formalmente, si è impegnato, anche se viene da un paese in cui la pena di morte è rimasta a lungo quindi un paese con tradizioni molto diverse dalle nostre.
  Non dimentichiamo infatti che il primo stato ad abolire la pena di morte nel mondo fu il nostro Granducato di Toscana nel 1786. L'Italia è dunque giunta a questa battaglia con una grande tradizione alle spalle. L'opinione pubblica italiana è stata preparata profondamente da una lunga tradizione democratica. Ora bisogna andare avanti perché la moratoria non è l'abolizione forzata. Purtroppo l'abolizione non può essere ottenuta immediatamente. I dati statistici poi ci dicono che ormai la pena di morte si concentra per lo più in piccoli stati. Questi dati rendono dunque più realistica una campagna di pressione sui paesi che la mantengono in vigore. Inoltre nell'anno delle Olimpiadi si attende dalla Cina un messaggio di applicazione molto più limitata che rappresenterebbe un avvicinamento all'obiettivo che noi vogliamo raggiungere. Questa battaglia deriva dalla necessità di ampliare il rispetto per la vita umana, dal ruolo specifico che deve avere lo stato, a questo proposito la battaglia per Tarek Aziz è fortemente simbolica, non è uno dei tanti condannati a morte . Ha un valore simbolico importante perché entra nel discorso della disponibilità di uno stato del diritto uccidere, per usare termini semplici ma forti.
  Se noi esaminiamo tutte le regole fondanti delle Nazioni Unite non ce n'è nessuna che riguarda specificamente l'abolizione della pena di morte ma ci sono le regole che riaffermano i diritti fondamentali dell'uomo, la sua dignità, il valore della persona umana. Ci sono elementi nell'ambito delle Nazioni Unite che ci portano a far sì che questa battaglia che andrà verso l'abolizione nei tempi che ci saranno permessi, sarà una battaglia che non vedrà sola l'Italia ma che sia un grande discorso che coinvolge tutte le Nazioni Unite.
  Occorrerà avere la stessa forza, la stessa determinazione, la stessa unità, l'Italia deve continuare ad essere un punto di riferimento in questa battaglia. In questi anni abbiamo avuto dalla nostra parte l'opinione pubblica ma non solo. Tutti i presidenti della repubblica succedutisi hanno sancito apertamente che questa è una battaglia e un obiettivo di tutto il paese. Dobbiamo continuare. Prendo il significato di questo premio come un impegno a far sì che la nostra opinione pubblica sia ancor più sensibilizzata in futuro verso questa direzione. Perché la direzione che ci aiuta a rafforzare i grandi tribunali internazionali, che rappresentano una questione difficilissima. Io ho vissuto in questi anni i grandi problemi politici che sorgono quando c'è da consegnare un criminale di guerra al tribunale, le spaccature politiche che questo provoca in molti paesi. C'è quindi la necessità che tutto questo diventi coscienza comune. Questa come d'altronde l'abolizione della pena di morte è una battaglia lunga che richiede convinzione, perché quando si raggiunge quest'obiettivo diventa un fatto naturale che tutta l'opinione pubblica, tutto il paese si debba comportare in quel determinato modo.
  Il cammino del Tribunale dell'Aja è stato faticoso, a volte la procuratrice s'è lamentata ha severamente rimproverato i governi del mondo ma passi in avanti sono stati fatti. Ciò che è avvenuto in questi giorni in Serbia non sarebbe avvenuto solo pochi anni fa. Non sarebbe avvenuto perché non c'era un'opinione pubblica nazionale pronta a tutto questo. Non è questa una battaglia solo e specificamente per la pena di morte ma per l'affermazione del diritto nell'ambito della convivenza umana.
  Grazie.



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