Vincere dà fiducia ai giovani: sono loro la molla del Paese

:Vincere dà fiducia ai giovani e loro sono la molla del Paese
Il trionfo nel 2006 vissuto da premier: “La mia battuta profetica con la Merkel”

Intervista di Mario Ajello a Romano Prodi su Il Messaggero del 13 luglio 2021

Era il 2006, a Palazzo Chigi governava Romano Prodi. L’Italia di Lippi vinse il campionato del mondo. E tutti ricordano il presidente Napolitano che dopo la finale andò negli spogliatoi, insieme ad alcuni ministri, a festeggiare il trionfo degli azzurri a Berlino. Prodi festeggiò a Roma e anche adesso non smette di gioire per il capolavoro di Wembley.

Professore, si aspettava questo grande successo?

«E’ stata dura, ma ce l’abbiamo fatta. Dopo il gol iniziale, ci siamo piano piano ripresi e poi è andata bene. Gli inglesi, dal punto di vista del valore di mercato dei giocatori, valevano varie volte più dei nostri. In teoria, i nostri erano meno fenomeni di loro. Ma noi abbiamo vinto».

E la morale di questa vittoria qual è?

«Sta nel fatto che noi abbiamo avuto più gioco di squadra. E’ accaduto l’inverso della solita metafora sull’Italia, Paese considerato pieno di ottime individualità ma che non funzionano come sistema. La squadra di Mancini ha ribaltato lo schema. Ha mobilitato le individualità, le ha messe insieme e le ha fatte funzionare come sistema. Questa è una novità importante».

Quando lei era premier, vincemmo i Mondiali nel 2006. Vede analogie?

«So soltanto che allora non solo abbiamo vinto ma mi sono divertito come un pazzo assistendo allo stadio alla semifinale contro la Germania che valse come una finale. Eravamo vicini alla fine dei tempi supplementari, mi voltai verso la Merkel e le dissi: Angela, io odio i rigori! E in quell’istante, abbiamo segnato il gol. Beckenbauer si è alzato ed è sparito. Mi sono girato e non l’ho più visto».

E’ stato calcolato che in seguito alla vittoria mondiale nel 2006 la ricchezza nazionale è aumentata del 2 per cento. E la disoccupazione è scesa del 10 per cento. Lei vede correlazioni tra l’aspetto calcistico e la crescita generale del Sistema Italia?

«E’ impossibile da provare la correlazione tra la vittoria nel football e lo sviluppo del Paese. Però una delle grandi molle che spingono i Paesi è la fiducia che i giovani hanno in se stessi. I giovani ben motivati danno sempre una spinta alle nazioni a cui appartengono. Una vittoria nel calcio ti dà un minimo di sicurezza in più e questo serve a qualcosa. Il grado di sicurezza che i miei studenti cinesi e americani avevano nelle proprie capacità e nel proprio futuro era un formidabile ingrediente di forza. Una vittoria nel calcio non fa forse cambiare un Paese, ma in un mondo così internazionalizzato un po’ serve. Se non altro, per sfottere i propri coetanei degli altri Paesi invece che essere sfottuti».

Che Europeo è stato questo Europeo?

«Un torneo strano. E’ la prima volta che si è giocato in tantissimi Paesi e non solo della Ue. Questo significa che ha coinvolto più persone. Non dimentichiamo che si è giocato anche in Russia, in Azerbaigian, ovunque. Come spettatore, mi ha fatto impressione che il business del calcio avesse visibilmente sponsor provenienti da ogni parte del mondo. Molti cinesi: da Tik Tok a Hisense, che è una grande azienda di elettrodomestici, da Vivo che è un colosso nel campo della tecnologia e della comunicazione ad altri. E non solo i cinesi, ma anche Qatar Airways, i russi di Gazprom e così via. C’è stato un interesse spasmodico e larghissimo sia dal punto di vista degli spettatori sia da quello degli investitori. E a proposito della Cina, pensi che anni fa fui invitato a un seminario in cui i cinesi mi chiesero: ma come mai noi nel football non vinciamo mai e il Brasile che come noi è un Paese in via di sviluppo gioca così bene? E io risposi: l’unica mia ipotesi è che i vostri ragazzi il pomeriggio studiano la matematica e gli altri giocano a pallone. Ma poi in Cina sono nate migliaia di scuole di calcio».

Insomma la impressiona l’aspetto sempre più universale del football?

«Sì, e mi impressiona tanto. Il calcio ha sempre rappresentato un legame importante tra i popoli, una forma di scambio e di condivisione. Ricordo quando andavo in giro per il mondo da presidente dell’Iri. In ogni Paese, dall’Africa all’Asia, mi chiedevano di Paolo Rossi. Una volta dei ragazzi vedendomi al Cairo mi gridarono sapendo che ero italiano: Rossi! Ecco questo aspetto di condivisione globale della passione calcistica, che c’è sempre stato, adesso è ancora più esteso anche per via degli strumenti di comunicazione ormai capillari. E’ un fatto sportivo e di business, un fenomeno rilevantissimo. Ma anche il ciclismo è universale. Così come il tennis che lo è da sempre. E Berrettini a Wimbledon è stato bravissimo».

Ha visto che in vari Paesi europei è stata festeggiata la vittoria azzurra?

«Se è così, vuol dire che la Brexit ha creato agli inglesi qualche problema. Avendo le squadre inglesi trionfato nella Champions, l’Italia nel calcio è apparsa agli occhi di tutti come Davide contro Golia. E la gente tiene per Davide. E qui torniamo all’aspetto dei soldi. Anche se in Italia non mancano certo, sono i soldi che hanno trasformato gli inglesi in Golia».

Gli inglesi hanno rifiutato la medaglia da secondi e non si sono comportati bene nello stadio e fuori. Ne è sorpreso?

«Mi è molto dispiaciuto sia quanto è accaduto sugli spalti sia soprattutto la scena dei giocatori che platealmente si sfilano dal collo la medaglia».

Hanno dimostrato di non conoscere l’arte del saper perdere?

«Beh, si può anche capire. Visto il gol iniziale, erano sicuri di vincere. Non pensavano che i vari Davide avessero questa grande capacità di resistere e di combattere Golia. Poi c’è da dire anche che i rigori hanno sempre un aspetto di casualità e di dramma. E dato che gli inglesi erano così sicuri di vincere, il dramma è esploso per loro in modo inconsulto».

Noi invece non rischiamo di fare troppa retorica su questa vittoria nel calcio, di rappresentarla come un grande trionfo dopo il quale andrà tutto benissimo nel Paese migliore della terra?

«Anche se lui lo meriterebbe, non ho ancora sentito che siano in costruzione statue di Donnarumma in tutte le piazze italiane».

 

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
luglio 13, 2021
Interviste