Lo squilibrio fra domanda e offerta di cibo può devastare il futuro dell’intera umanità

Petrolio e cibo crocevia della Pace

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 6 marzo 2011

Sono bastate poche settimane di turbolenze nel Mediterraneo per fare esplodere i prezzi del petrolio. Le quotazioni del grezzo hanno fatto in pochi giorni un salto del 15%. Le imprese e i cittadini ne hanno immediatamente percepito le conseguenze sui prezzi della benzina e del gasolio. Tutto questo anche se l’offerta libica, pur essendo cospicua, non è superiore al 2% del totale mondiale ed il mercato petrolifero non è scarso di riserve come si era trovato ad essere nelle precedenti crisi.

L’economia mondiale è infatti, in termini relativi, meno dipendente dal petrolio di quanto non lo fosse qualche decennio fa. In Europa, ad esempio, ne consumiamo meno di quanto ne consumavamo nel 1980, anche se reddito e produzione sono fortemente aumentati.

Non è quindi la scarsità che ha fatto balzare i prezzi in alto ma l’ipotesi che le tensioni possano in qualche modo estendersi in tutta la grande area che va dall’Algeria all’Arabia Saudita. Un’area in cui è localizzato oltre un terzo delle riserve petrolifere mondiali. Si tratta perciò di una crisi politica, alla quale non si aggiungono ancora eccessivi allarmi dal lato dell’inflazione, dato che in tutto il mondo sviluppato non vi sono forti tensioni salariali e rimane ancora ( credo purtroppo per un periodo di tempo non breve) un’elevata capacità produttiva non utilizzata.

Non intendo naturalmente nascondere la gravità delle preoccupazioni sul tema energetico, ma certo rimango sorpreso dal fatto che l’opinione pubblica trascuri un problema ancora più grave, cioè l’aumento continuo dei prezzi dei prodotti alimentari. Un aumento diffuso, non temporaneo, che nasce  da una ormai prolungata differenza fra domanda e offerta di cibo nel mondo.

Le ragioni di questo squilibrio trovano le loro radici non solo nell’aumento della popolazione ma, soprattutto, nel passaggio di miliardi di persone da una dieta di cerali e vegetali ad una dieta basata su una crescente quantità di carne che, come è ben noto, richiede molto più terreno coltivabile.

L’agricoltura mondiale non sembra essere in grado di fare fronte al duplice compito di dovere nutrire due miliardi di uomini in più entro la metà del secolo e di produrre  le crescenti dose di proteine che sono richieste. Come ha scritto recentemente l’Economist si tratta di fornire all’umanità una quantità di cibo aggiuntivo pari a quella necessaria per nutrire tre nuove Indie.

Non è un obiettivo tecnicamente impossibile ma è difficilmente raggiungibile per alcune ragioni molto precise.

In primo luogo oltre un terzo del cibo prodotto viene semplicemente buttato via. Nei paesi poveri a causa dell’arretratezza dei sistemi di conservazione e di trasformazione e nei paesi ricchi a causa dei sistemi distributivi e dei modelli di consumo. In una recente ricerca riferita a Stati Uniti e Gran Bretagna ( ma non credo che le cose siano diverse in Italia) si legge che un quarto del cibo che arriva nei negozi e nei ristoranti finisce direttamente nell’immondizia.

Una seconda fonte di scarsità artificiale è data dall’uso dei cereali per produrre biocarburanti. In conseguenza degli obiettivi che i principali paesi si sono dati, il 10% dei cereali raccolti non vengono destinati alla produzione di cibo ma di carburanti. Credo che gli squilibri fra domanda e offerta, con i conseguenti aumenti dei prezzi, debbano indurre i vari governi a porsi l’obiettivo di correggere gli incentivi oggi esistenti e a indirizzare l’uso del terreno verso scopi energetici solo in casi del tutto particolari.

In terzo luogo, dopo il grande salto in avanti della “rivoluzione verde”, la produttività in agricoltura cresce ormai  pochissimo.  Dal tre per cento degli anni d’oro siamo ormai arrivati a meno dell’uno per cento di oggi, anche perchè la ricerca in agricoltura è stata pesantemente tagliata in quasi tutti i paesi del mondo, a cominciare dall’Italia. E’ doveroso infine notare che, mentre solo il 20% dei terreni agricoli del nostro pianeta sono irrigati, essi producono il 40% dei raccolti ma utilizzano ben il 70% dell’acqua disponibile per usi economici a causa di un uso irrazionale dell’acqua stessa.

Il risultato di questi errori e di queste inefficienze ( a cui si aggiunge naturalmente un’iniqua distribuzione dei redditi)  è che quasi un miliardo di persone soffrono la fame perchè non riescono a procurarsi nemmeno la minima quantità di cibo necessaria per sopravvivere.

Mi rendo perfettamente conto che la nostra società percepisca immediatamente le conseguenze dell’aumento del prezzo della benzina e fatichi a rendersi conto di quanto lo squilibrio fra domanda e offerta di cibo possa devastare la vita futura dell’intera umanità. Tuttavia se oggi siamo giustamente preoccupati per gli sconvolgimenti avvenuti nel Mediterraneo, dovremo ancora più  attivarci per prevenire le cause di futuri ancora più gravi sconvolgimenti. E tra queste il problema del cibo non è certamente il minore.

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